Province regionali terza versione - QdS

Province regionali terza versione

Rosario Battiato

Province regionali terza versione

venerdì 13 Aprile 2018

Dopo il fallimento della “Rivoluzione” di Crocetta, Musumeci ha tracciato una nuova linea che parte dal passato. Organi eletti e più competenze, ma c’è lo spauracchio della Corte Costituzionale 

PALERMO – Il presidente della Regione, Nello Musumeci, ha un piano per responsabilizzare e razionalizzare le ex Province che, una volta riorganizzate, potrebbero prendere in mano anche la gestione di due settori particolarmente delicati: acqua e rifiuti. Prove tecniche di Province terza versione, dopo quelle regionali e i fallimentari Liberi Consorzi di Crocetta, mentre si resta in attesa del responso della Corte Costituzionale sul ricorso della Regione in seguito all’impugnativa del governo romano dello scorso ottobre in relazione all’elezione diretta dei vertici politici degli Enti intermedi, così come stabilito dalla Legge regionale 11 agosto 2017, n.17.
 
La storia è nota, anche se ormai prosegue da quasi sei anni in un eterno girotondo. L’ex governatore Rosario Crocetta aveva tentato di anticipare tutti, persino il Governo nazionale, avviando l’eliminazione delle Province. Una riforma nata male e mai del tutto avviata che aveva azzerato Consigli e Giunte, ma che aveva mantenuto praticamente intatto l’apparato, cioè il peso maggiore, almeno dal punto di vista economico, dell’intero sistema. Musumeci, al contrario, è pronto a lanciare una mano al passato, delineando un ritorno in grande stile delle vecchie e bistrattate Province, ma con opportune correzioni. Un punto che aveva ampiamente trattato anche in campagna elettorale e che adesso sarà atteso dalla prova sul campo.
 
Si possono chiamare Province terza versione, in quanto costituiscono una riedizione delle vecchie Province regionali, perché integreranno vecchie e nuove competenze ma, allo stesso tempo, dovranno fornire un esempio di efficienza e spesa. Il governatore, nel corso del recente Forum con il QdS (pubblicato il 17 marzo scorso), ha svelato i dettagli della riforma, spiegando che si sta lavorando a partire da due punti essenziali.
 
In primo luogo ci sarà l’elezione diretta del presidente della Provincia, una proposta su cui pesa ovviamente l’esito del ricorso alla Corte Costituzionale che potrebbe pronunciarsi già ai primi di luglio. Il ricorso contro l’impugnativa del Governo nazionale alla legge approvata dall’Ars – la Lr 11 agosto 2017, n.17, “Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonché del sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano” – che stabilisce per i cittadini isolani l’elezione diretta dei vertici politici degli Enti intermedi, è stato il primo atto ufficiale della Giunta Musumeci alla fine di novembre. Un ricorso dettato dalla necessità di tutelare la potestà statuaria della Sicilia in materia di ordinamento degli Enti locali (articolo 14 dello Statuto siciliano) e diametralmente in opposizione a quanto fatto dal precedente Governo Crocetta che aveva tentato di abolire le Province e seguito la legge Delrio, che prevedeva soltanto l’elezione di secondo grado.
 
Il secondo passaggio, ben più sostanziale, riguarderà le competenze, perché come ha evidenziato Musumeci al QdS, l’obiettivo è trasferire alle Province “alcuni compiti oggi in capo alla Regione o ad altri Enti. La Provincia, per esempio, deve occuparsi di rifiuti e di servizi idrici”. Un impegno gravoso su due temi caldissimi e strategici che attualmente si trovano sotto la sfera dei poteri speciali concessi al governatore dal Governo nazionale in seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza dello scorso febbraio.
Attenzione particolare sarà riservata anche ai costi degli organismi politici, uno dei cavalli di battaglia di Crocetta. Musumeci pensa “a un Consiglio provinciale più snello, senza oneri a carico del bilancio provinciale, cioè soltanto con il rimborso per la benzina, e a una Giunta che sia ridotta rispetto al passato”. Considerazione che si può applicare anche alle Città Metropolitane, perché come detto molto chiaramente per il presidente della Regione “chi è sindaco di una città capoluogo non può essere presidente di una Città Metropolitana”.
 

 
Quei costi per l’apparato che zavorrano i bilanci
 
PALERMO – La crisi finanziaria delle ex Province è quasi cronaca quotidiana. Lo scorso gennaio l’assessore regionale alle Autonomie locali, Bernadette Grasso, ha annunciato la necessità di un nuovo accordo con il Governo nazionale per salvarle – disavanzo strutturale delle ex Province (differenza tra entrata e spesa corrente) misurato in 118 milioni di euro per il 2015, 147 per il 2016 e 192 dello scorso anno – a fronte del fatto che in questi anni hanno faticato a mantenere standard decenti di erogazione di servizi all’utenza. Nel mirino, in particolare, la gestione della rete stradale di competenza, il supporto alle scuole, ma anche i pagamenti dei dipendenti.
Una crisi confermata dall’analisi dei pagamenti del triennio 2013-2015, basata su dati Siope e realizzata dal QdS, che confeziona circa 2 miliardi di spesa e 1,2 destinati per la spesa corrente che appunto riguarda direttamente i costi relativi al personale. Nel 2015 l’ex provincia di Catania ha speso 17 milioni di euro per le competenze fisse per il personale a tempo indeterminato su un totale di 87 milioni di euro.
La spesa media corrente del triennio è stata pari a 420 milioni di euro con una porzione relativa alla spese di personale che vale 38 euro pro capite contro una media nazionale di 33. In contrazione, invece, la spesa in conto capitale anche se costituisce la parte destinata agli investimenti.
 

 
La situazione delle strade mette a rischio la sicurezza
 
PALERMO – La Corte dei Conti l’aveva denunciato già la scorsa estate. Nell’analisi della situazione finanziaria degli Enti di aria vasta, la magistratura contabile aveva sottolineato un calo di circa un terzo delle imposte e dei tributi e il dimezzamento complessivo dei servizi per i cittadini tra le ex Province dell’Isola.
Un peso che ricade direttamente anche sulla spesa necessaria per fare manutenzione di un tessuto viario che si trova ormai costantemente aggredito dai fenomeni franosi e alluvionali. Tra il 2002 e il 2016 sono stati mappati circa 10.600 fenomeni di dissesto idrogeologico in Sicilia e di questi circa 9.200 hanno riguardato direttamente le infrastrutture stradali. Numeri che arrivano dal rapporto “Piano regionale di protezione civile: la vulnerabilità delle infrastrutture stradali ai fenomeni di dissesto idrogeologico”, redatto dal Centro funzionale decentrato multirischio integrato della Regione siciliana.
Dividendo l’aggressione in strade statali e provinciali, scopriamo che per le prime, su 113 tratti di strada, ben 79 hanno avuto dissesti osservati (70% del totale). Si tratta 3.252 km coinvolti su 3.786, pari all’86% del totale; le seconde, invece, hanno avuto 707 tratti con dissesti osservati su 1.540 tratti censiti. Si tratta del 46% del totale, pari a 6.714 km su 11.377 (59%).
Qualcosa comunque si muove: nelle scorse settimane il governatore Musumeci è stato Enna per valutare lo stato della viabilità, promettendo lo stanziamento di 50 milioni di euro per migliorare la viabilità di tutta la provincia.

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