"S'elli è meglio essere amato che temuto" - QdS

“S’elli è meglio essere amato che temuto”

Carlo Alberto Tregua

“S’elli è meglio essere amato che temuto”

mercoledì 18 Aprile 2018

Non si governa con la simpatia

Dopo cinquecento anni Nicolò Machiavelli (1469–1527) è sempre moderno, con le sue idee e le sue riflessioni sul potere.
Il principe, I discorsi, Le istorie fiorentine, oltre a tante altre opere, entrano dentro la politica del tempo, vivisezionano i modi di pensare e inseriscono in quella società una serie di riflessioni, forse non comprese dai suoi coevi.
Il dilemma se per il gestore della Cosa pubblica, nobile, borghese o plebeo, sia meglio essere amati o temuti è ancora oggi attuale.
Chi fa l’interesse generale non può essere amato, perché ogni membro della Comunità mira egoisticamente a soddisfare i propri bisogni. Solo una stretta minoranza ha la capacità di guardare l’intero scenario economico-sociale e la cultura di subordinare i propri interessi a quelli della collettività.
Oggi, con il degrado della politica, con l’insufficienza cronica della burocrazia, con il diffondersi dell’ignoranza attraverso gli smartphone e con il crollo della lettura, ben pochi sono capaci di allungare lo sguardo al di là del proprio naso. Tutti pensano all’oggi e non guardano al domani.
 
“Sdegni e paure erano dal duca cognosciute e temute, nondimeno voleva mostrare a ciascuno di credere di essere amato”.
Risulta evidente lo stesso dilemma, ma qui emerge un’ipocrisia del gestore della Cosa pubblica il quale, nonostante sappia di essere temuto e anche odiato, vuole spiegare agli altri come invece sia amato.
Sì, perché chi gestisce il pubblico potere vorrebbe essere amato. Ma questo non accade sovente, tanto che la comunicazione moderna induce ad assumere comportamenti ed usare gestualità accattivanti della simpatia altrui.
Ora, non si governa con la simpatia ma con il rigore culturale e l’osservanza dei principi etici, secondo cui tutti i cittadini, che non sono uguali, debbono avere, però, pari opportunità. Il che significa che nessuno debba correre la gara della vita con le pietre nelle tasche. Ed è proprio nell’incapacità di rendere uguali i cittadini alla partenza che si rivelano le carenze politiche di chi governa a tutti i livelli.
 
Ricordare Nicolò Machiavelli e tutti i grandi del Cinquecento come Savonarola, Lutero, Guicciardini e altri non è un esercizio fine a sé stesso, ma un modo per raffrontare quello che accade ai nostri giorni con quanto accaduto mezzo millennio fa.
Da questo e anche da altri raffronti con la civiltà persiana, greca e romana, possiamo capire quali siano i principi di fondo che vanno rispettati, anche a costo di danneggiare se stessi.
Infatti, è proprio la capacità di mettersi in secondo piano rispetto alla collettività che fa emergere la cultura e l’agire delle persone perbene, le quali purtroppo sono in minoranza. Ma esse hanno il compito di spiegare, informare, testimoniare, tentando disperatamente di far capire agli altri i valori della vita, quali il rispetto, le regole, la riservatezza.
 
Nella società, il ceto politico ha il compito di scovare i talenti, che sono le vere risorse del futuro, coloro che dovrebbero diventare classe dirigente perché, avendo capacità superiori alla media, potrebbero progettare la convivenza della gente al meglio, tagliando privilegi, supponenze e rendite di posizione.
Molti odierni politici ritengono che l’assistenzialismo sia la forma per acquisire potere facile. Certo, quando elargisci 700/800 euro al mese senza merito e senza bisogno, è possibile che riceverai un ringraziamento in termini di consenso elettorale. Ma questo comportamento non fa bene alla Comunità, perché fa addormentare le persone e stimola la loro voglia del non fare. Tanto c’è lo Stato che pensa per tutti…
E invece, bisognerebbe inculcare nella testa della gente la passione per il lavoro e la voglia di sacrificarsi per crescere. Quindi, non assistenzialismo ma opportunità di lavoro che facciano andare più veloce la ruota dell’economia per produrre ricchezza e non povertà: la ricchezza si può distribuire, la povertà si può solo condividere.
Contribuisce una certa resistenza sociale alla lettura e alla cultura. Questo è male, perché alla Comunità fanno più danno gli ignoranti che i delinquenti.

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