Conseguenze per il contribuente che non risponde tempestivamente al Fisco - QdS

Conseguenze per il contribuente che non risponde tempestivamente al Fisco

Salvatore Forastieri

Conseguenze per il contribuente che non risponde tempestivamente al Fisco

mercoledì 04 Luglio 2018

Lo stabilisce l’ordinanza n. 16106 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 19 giugno. I documenti non esibiti non potranno essere usati a propria difesa nel contenzioso 

ROMA – La Corte di Cassazione si pronuncia sulle conseguenze della mancata risposta al questionario dell’Agenzia delle entrate al quale il contribuente, qualche volta, anche senza alcuna volontà di arrecare pregiudizio all’Erario, non risponde tempestivamente.
I Supremi Giudici, con Ordinanza n. 16106 depositata il 19 giugno scorso, in contrasto con le sentenze delle Commissioni Tributarie di primo e di secondo grado, hanno affermato che “In tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione Finanziaria, previsto dall’art.32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa”.
Parole ineccepibili. Concetti assolutamente condivisibili.
 
Il problema, purtroppo, sta nel fatto che in qualche caso la violazione dei principi di lealtà, correttezza e collaborazione non è assolutamente ipotizzabile.
 
Per cui, in questi casi, impedire al contribuente, anche in sede di richiesta di autotutela, di dimostrare la regolarità di quanto dichiarato al Fisco, può avere conseguenze gravissime ed ingiuste, in quanto questo divieto non è correlato alla volontà del contribuente di nascondere elementi di prova a suo favore o a suo danno. Un divieto, quindi, che contrasta con il principio costituzionale della capacità contributiva, nonchè con quello dell’affidabilità e della buona fede previsto dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.
è vero che l’articolo 32, comma 1 del D.P.R. 600/73 prevede una sanzione indiretta costituita dell’impossibilità di prendere in considerazione documenti non esibiti tempestivamente all’Ufficio a seguito di apposita richiesta in sede di verifica o a seguito di questionario.
 
Ma è altrettanto vero che possono sussistere talune circostanze nelle quali i documenti richiesti, perchè già conosciuti dalla Pubblica Amministrazione, oppure perchè su di essi vi è certezza di data, non dovrebbero essere mai considerati “occultati” dal contribuente.
è evidente che se il documento richiesto è già in possesso di una Amministrazione dello Stato, il contribuente che, per un motivo qualsiasi, non ottempera tempestivamente all’invito, non vuole certo ostacolare il procedimento di accertamento del tributo, per cui qualunque limitazione nella produzione sarebbe ingiusta contraendo il diritto di difesa costituzionalmente garantito.
 
La ratio della disposizione, infatti, è quella di evitare che il contribuente, con una condotta omissiva o dilatoria, possa impedire o, comunque, rendere più difficile il controllo fiscale e conseguentemente impedire l’emersione di ricavi o corrispettivi non dichiarati.
Ma se tale intenzione viene esclusa e se l’ufficio ha comunque la possibilità di svolgere la sua attività di controllo, la mancanza di risposta al questionario non dovrebbe avere conseguenze sostanziali.
 
In pratica, occorrerebbe distinguere sempre il comportamento di chi vuole sottrarsi volontariamente al proprio dovere e non vuole fornire all’Amministrazione Finanziaria dati rilevanti per l’accertamento dei tributi, da quello di chi non adempie alla richiesta di documenti e informazioni per causa di forza maggiore o per semplice negligenza, senza alcuna volontà o intenzione di ostacolare l’attività del fisco.
 
Giova ricordare, al riguardo, quanto previsto dal comma 4 dell’art, 6 della legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) , disposizione secondo la quale “Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa”.
 
Tra i documenti che possono essere considerati in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche, a titolo esemplificativo, è possibile includere tutti gli atti registrati, le sentenze emesse dall’Autorità giudiziaria ordinaria, amministrative e tributaria, i dati acquisiti nel corso di parallele verifiche, le informazioni in possesso delle Conservatoria ecc. ecc.
 
In realtà, la posizione della Giurisprudenza di diritto in merito è stata altalenante e l’ultimo giudizio espresso dalla Corte con l’ordinanza prima citata, ossia la n.16106 depositata il 19 giugno 2018, non conforta le superiori conclusioni, anche se tale ordinanza giustifica la sanzione con la mancanza di lealtà, correttezza e collaborazione da parte del contribuente. Chissà se, qualora nel caso specifico i requisiti di lealtà, correttezza e collaborazione fossero stati comunque riconosciuti nonostante la condotta del contribuente, la decisione della Suprema Corte sarebbe stata diversa.
 
Si renderebbe necessaria, pertanto, l’emanazione di una nuova disposizione legislativa, magari di natura interpretativa, che limiti gli effetti negativi della mancata risposta del contribuente al solo caso di effettivo ostacolo all’attività di accertamento e di intenzionalità della condotta omissiva allo scopo di coprire l’ evasione dei tributi, una norma che, certamente, sarebbe assolutamente in linea con la proclamata necessità di creare un vero rapporto di fiducia tra fisco e contribuenti, unico modo per aumentare l’adesione spontanea e ridurre l’evasione.

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