Cultura: ingredienti ricchi per un piatto povero - QdS

Cultura: ingredienti ricchi per un piatto povero

Chiara Borzi

Cultura: ingredienti ricchi per un piatto povero

venerdì 20 Luglio 2018

Symbola-Unioncamere: 3,2 mld € di valore aggiunto dal sistema produttivo culturale isolano. In Lombardia 24 mld, nel Lazio 14 mld. Musei e siti archeologici unici ma non valorizzati. Solo 3,1 milioni di visitatori paganti in tutti i siti siciliani, quasi 4 milioni tra Pompei ed Ercolano
 

ROMA – Che ruolo hanno filiera culturale e creatività in Sicilia? Quanto incidono sull’economia isolana e quanta occupazione creano? A queste domande possiamo rispondere grazie alla pubblicazione del rapporto “Io sono cultura” 2018, elaborato su stime Istat e Unioncamere diffuso da Symbola.
 
Nel contesto nazionale la cultura ha assunto un ruolo centrale che i numeri testimoniano chiaramente. Nel 2017 il valore aggiunto prodotto ha superato i 92 miliardi di euro, per un +2% in più rispetto il 2016, gli occupati prodotti sono più di 1,5 milioni, per un +1,6% in più rispetto l’anno precedente. Dal sistema produttivo culturale e ricreativo italiano (SPCC come chiamato nel report) deriva il 6% della ricchezza della nazione e il 6,1% dell’occupazione. Le industrie culturali hanno prodotto esattamente 33,6 miliardi di euro ed impiegano 488 mila addetti; le performance delle industrie creative generano 13,4 miliardi di v.a. e offrono 261 mila posti di lavoro; le performing arts garantiscono 7,9 miliardi e impiegano circa 141 mila addetti; le attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale producono meno, ma comunque 2,8 miliardi e 51 mila posti di lavoro. Anche editoria, stampa, videogiochi e software sono in grado di creare v.a, esattamente 25,8 miliardi insieme che rappresentano un ulteriore segnale positivo.

La cultura è un’economia trainante, ma non per tutti i territori. Dai dati di “Io sono cultura” emerge una profonda contrapposizione tra Nord e Sud e viene messa in risalto una variabile importante, la presenza di grandi hub culturali in coincidenza delle grandi metropoli. Non a caso quindi Milano e Roma detengono i maggiori profitti in termini di valore aggiunto e occupazione. Inoltre, in tutte le regioni del Mezzogiorno – si legge ancora nel report – l’incidenza delle attività culturali sul valore aggiunto e sull’occupazione non supera mai il 4,6%.
 
La Sicilia si allinea a questa variabile poco positiva, nonostante l’evidente alto potenziale. All’isola non bastano quasi 3,3 miliardi di euro di valore aggiunto per raggiungere la percentuale d’incidenza media nazionale (4,2% contro il 6 % di media), né circa 68 mila occupati per raggiungere la percentuale media d’impiegati nazionali (4,3% contro il 6,1%). Tra il 2016 e il 2017 la Sicilia ha fatto registrare una crescita sia del v.a che degli occupati, ma in entrambi i casi abbastanza flebile, esattamente dell’1,7% e l’1,1%. In regioni meridionali come Campania e Puglia la variazione che interessa l’occupazione è cresciuta invece di almeno 2 punti percentuali in più, esattamente del 4,7% e il 3,7%. Il valore aggiunto è invece aumentato del 5% e del 4%.
 
La differenza tra Sicilia, Campania e Puglia sta in questi dati che riguardano la crescita delle due voci: il SPCC siciliano mostra numeri importanti, ma che hanno portato ad una crescita mai superiore al 2% tra il 2016 e il 2017. Campania e Puglia sono realtà dinamiche, mentre la Sicilia sembra attardata nonostante un v.a. da 3,3 miliardi e quasi 68 mila occupati. In Campania il valore aggiunto sfiora i 4,5 miliardi e gli occupati sono quasi 8 mila meno che in Sicilia, ma il valore cresce di più; in Puglia il valore aggiunto è di appena 2,7 miliardi e gli occupati solo 8 mila, ma il dato è in netta crescita. La Puglia incide per appena lo 0,1% meno rispetto il “colosso” Sicilia nella ripartizione regionale del valore aggiunto nel sistema produttivo culturale (1,8 contro l’1,9%) e la stessa regione mostra l’identico dato percentuale della Sicilia rispetto l’incidenza dell’occupazione (1,8%). Inoltre, c’è solo Palermo a rappresentare la Sicilia nella classifica delle 20 province italiane per valore aggiunto dal SPCC, mentre non c’è alcun capoluogo tra i 20 per incidenza dell’occupazione.
 
Infine, c’è un’ulteriore domanda a cui è possibile rispondere e che riguarda i profitti che scaturiscono dall’intera filiera culturale, composta da imprese Core e Creative Driven.
 
Architettura, comunicazione, cinema, software e videogiochi, musica, editoria e stampa, patrimonio storico artistico sono racchiusi nell’attività di solo 16 mila imprese siciliane (anno 2017). In Lombardia sono attive invece 61 mila attività, nel Lazio 41 mila e in Veneto 23 mila. Paradossalmente, piuttosto che il patrimonio storico, sono editoria e stampa a portare nell’isola il maggior numero di attività (circa 7 mila pari al 41,7% del totale imprese).
 
Poca attenzione alla filiera culturale genera poca spesa turistica attivata dallo stesso sistema produttivo culturale. La Sicilia ha fatto registrare un’incidenza di appena il 27,1% che equivale alla seconda percentuale più bassa d’Italia (Sardegna 23,4 %), il dato è inferiore del 3,5 rispetto la stessa media del Mezzogiorno (30,6%) e dell’11% rispetto la media nazionale.



Da siti archeologici e musei solo 3,1 mln di paganti
 
CATANIA – Lo abbiamo già scritto, in Sicilia stampa ed editoria creano più indotto economico del patrimonio culturale. è un dato significativo, per alcuni versi quasi allarmante per una terra ricca di storia come la Sicilia, e che viene indirettamente confermato anche dalle statistiche che riguardano la fruizione dei beni che fanno parte del patrimonio culturale regionale.
La Sicilia conta 7 siti Unesco, è la regione che più ne ospita in Italia, ma nel 2017 ha fatto registrare poco meno di 5 milioni di visitatori (solo 3,1 mln paganti) a fronte di un’offerta culturale che comprende ben 75 tra musei e parchi archeologici. Il Parco archeologico di Pompei ha visto susseguirsi nello stesso periodo quasi 4 mln di visitatori (circa un milione di visitatori in meno di tutti i siti siciliani), sfruttando “solo” i cinque siti presenti nel suo plesso.
In Sicilia solo Messina e Agrigento hanno superato nel 2017 il milione di visitatori (grazie al Teatro antico di Taormina e alla Valle dei Templi), seguite da Siracusa (881 mila presenze), Palermo (668 mila) ed Enna (339 mila), Catania si ferma ad appena 141 mila visitatori.
Anche dal punto di vista dei ricavi le cose non vanno poi tanto bene. Nell’Isola ci sono due province che incassano meno di 1 milione di euro l’anno dalla fruizione dei propri siti culturali, si tratta ancora di Catania (314 mila euro) e Ragusa (58 mila euro). Meglio va a Messina 6,7 milioni, Agrigento 6,3 milioni, Siracusa 5,1 milioni, Trapani 2,9 milioni, Enna 2,6 milioni. Come anticipato la sola Pompei ha contato lo scorso anno 3,4 milioni di presenze e un dato in crescita di 209 mila unità circa, Ercolano è passata da 487.540 visitatori a 437 mila.
In Sicilia lo stimolo alla crescita è ancora debole. Dal 2016 al 2017 le fruizioni sono passate da 750 mila a 780 mila (appena 30 mila persone in più) e gli incassi generali cresciuti solo del 2% rispetto il 2017. La sola Galleria degli Uffizi ha fatto registrare nel 2017 2,2 milioni di presenze, certamente meno dei 5 milioni di visitatori del museo “a cielo aperto” Sicilia, ma l’appeal di una sola sede è evidentemente superiore all’attrattiva di 75 siti diffusi sul territorio.
Gli elementi per offrire una risposta soddisfacente alla domanda di cultura italiana ci sarebbero tutti, ma in Sicilia il piatto piange ancora.

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