I giovani sognano l'impiego pubblico - QdS

I giovani sognano l’impiego pubblico

Carlo Alberto Tregua

I giovani sognano l’impiego pubblico

giovedì 02 Agosto 2018

Comincia il principio della fine

Nel dopoguerra, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, gli italiani hanno lavorato come i pazzi, di giorno e di notte, contemporaneamente risparmiando e reinvestendo i loro guadagni.
Il sistema politico e le pubbliche amministrazioni costavano relativamente poco, pur essendo composte da dirigenti, funzionari e dipendenti di grande valore, che avevano il senso dello Stato, per i quali il dovere veniva prima di qualunque altra cosa.
Nell’agone politico si contrastavano, anche violentemente, la Dc con i satelliti da un canto, e il Pc dall’altro. Eppure il Paese cresceva perché la gente aveva voglia di lavorare e sapeva che il miglioramento del tenore di vita dipendeva dai loro sacrifici, senza dei quali nulla era fattibile.
Dal Sessanta al Settanta il processo continuò, ma verso la fine del decennio, e precisamente nel 1968, esplose l’ideologia del sei (o diciotto) politico con il conseguente livellamento verso il basso dei cittadini, la cancellazione del merito e l’inizio di quella fase di irresponsabilità generale che oggi è il peso maggiore per tutto il Paese.
 
Negli anni Ottanta cominciò l’allargamento della sfera politica e delle pubbliche amministrazioni che portarono il Paese al tracollo, salvato per i capelli dal governo Amato nel 1992.
Questi ventisei anni hanno visto l’alternarsi di tutte le parti politiche, ma il Paese è cresciuto poco rispetto ai partner europei perché sono esistiti ed esistono due forti sbilanciamenti: le pubbliche amministrazioni che sono una zavorra, mentre il settore privato tira ed esporta; il Nord del Paese è cresciuto impetuosamente mentre il Sud è rimasto al palo, anzi è andato indietro.
Cosicché oggi ci troviamo con un sistema pubblico, infetto e corrotto, che frena qualunque attività e qualunque iniziativa, mentre quello privato tira disperatamente ma è continuamente intralciato dalla burocrazia. La Questione Meridionale è rimasta sempre lì, senza migliorare di una virgola, con i suoi guai dovuti al tasso infrastrutturale bassissimo e a una scarsa voglia di intraprendere.
In un servizio comparso il 24 luglio su questo giornale è emerso che il 33,6% dei giovani tra i 15 e i 29 anni sogna il posto fisso. Per fortuna c’è l’altro 66,45%.
 
Dunque, un giovane siciliano su tre aspira al posto pubblico. Perché? Forse per la illicenziabilità, forse per lo stipendio sicuro, forse perché non occorre una certa preparazione o forse per tutti gli elementi descritti, ma riteniamo soprattutto perché nella Pa vige il principio del dolce far niente.
Ecco il guaio di una parte della gioventù: pensa di vivere nel Bengodi, cioè può far poco o nulla e tuttavia percepire un salario che gli consenta di vivere e divertirsi.
Ma la realtà non è questa. Prima o dopo gli errori si pagano ed anche duramente. Una classe politica e una classe burocratica inefficienti, non competitive e non produttive, stanno insegnando ai giovani esattamente il contrario del loro dovere: fare sacrifici, spandere sudore per crescere e per imparare.
Sono sempre più ambite le attività ludiche, i divertimenti, gli svaghi, anche se per fortuna vi è una parte non indifferente di essi che studia molto, si prepara, si inventa mestieri, non si preoccupa di essere precario, ha fiducia in sé e nel futuro. Insomma si tratta di persone costruttive che non hanno paura di affrontare i rischi che la vita comporta ma hanno obiettivi chiari e per raggiungerli sono disponibili a qualunque impegno.
 
La questione del lavoro non si risolve a colpi di decreti, ormai lo dicono tutti, ma creando opportunità e consentendo a tutti i cittadini di accedervi perché messi su un piano di parità.
Le opportunità non riguardano il lavoro dipendente, anche, ma è soprattutto il lavoro autonomo di cui il nostro Paese con i suoi 5 milioni di partite Iva va orgoglioso.
è inutile girarci intorno, la questione riguarda le persone che hanno fiducia in loro stesse e affrontano le difficoltà a viso aperto, col massimo impegno e la volontà di superarle. Esse si distinguono tra quelle che cadendo non si rialzano e si lamentano, e le altre che dopo la caduta ricominciamo con più lena e piu forza.
Poi è la selezione naturale che interviene fra i capaci e gli incapaci.

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