La povera Sicilia getta via il pane - QdS

La povera Sicilia getta via il pane

Marina Pupella

La povera Sicilia getta via il pane

mercoledì 27 Gennaio 2010

Consumo. Se il cibo base va nella spazzatura.
Lo spreco. Nell’Isola sono quotidianamente prodotte 800 tonnellate di pane e suoi derivati. Le organizzazioni di categoria ammettono: 80 tonnellate rimangono invendute e finiscono nella spazzatura.
L’insensibilità. Mentre aumenta il numero delle persone che chiedono aiuti alimentari, le Istituzioni, soprattutto locali, non colgono la gravità del fenomeno. E anche oggi tanto pane finirà sprecato.

PALERMO – Nella Sicilia della povertà relativa di cui soffre quasi il 29% della popolazione (dati Istat 2009), emerge uno spreco a dir poco scandaloso. Il 13% della produzione giornaliera di pane (pari, complessivamente, a 800 tonnellate) rimane invenduto. Tolto il 3% di prodotto riutilizzato, il resto finisce nella spazzatura. Con la complicità dei sindaci che non riescono ad organizzare, secondo le associazioni dei panificatori, servizi capaci di raccogliere circa 80 tonnellate tra filoni e mafalde, e donarle a chi ne ha effettivamente bisogno: associazioni di volontariato, mense per i poveri, canili. E mentre nel Nord, dove pure esistono tali proporzioni, cercano di organizzare misure antispreco, nell’Isola nessuno ne parla. “Un fatto inammissibile” dichiara l’arcivescovo di Palermo, mons. Paolo Romeo.
 
“Panis angelicus fit panis hominum”, recitava San Tommaso d’Aquino nel suo Sacris solemniis. E ancora Gesù Cristo, nell’ultima cena, spezzava il pane e invitava i suoi discepoli a mangiarne, come segno del Suo sacrificio per gli uomini. Già il  “pane degli angeli” è il pane che rappresenta simbolicamente il Corpus Christi. Ma allora, non dovrebbe essere un peccato mortale buttarlo via? Evidentemente non lo è, visto che in Sicilia su 800 tonnellate di pane che vengono prodotte ogni giorno, circa il dieci per cento – 80 tonnellate – finisce nella spazzatura. E questi sono i numeri che riguardano solo la Sicilia.
Nel resto del Paese le cose non vanno meglio. Infatti, gli ultimi dati forniti dalla Fippa (Federazione italiana panificatori) stimano che l’eccedenza della produzione giornaliera dei 25 mila panifici artigianali è del 4-5 %, mentre la percentuale dell’invenduto e ritirato presso la grande distribuzione lievita sino ad arrivare addirittura al 13 per cento. Alla faccia della crisi. E soprattutto del miliardo di persone che, secondo la Fao, soffre la fame nel mondo. Che dire poi degli abitanti di Haiti, colpiti da uno dei terremoti più devastanti degli ultimi tempi, che per tenersi il tozzo di pane arrivano persino a massacrarsi fra loro. E dei poveri della porta accanto. Secondo gli ultimi dati Istat, la povertà relativa nell’Isola sfiora il 29% della popolazione.
Invece noi, che ogni giorno ne consumiamo mediamente 160 grammi (stima ancora la Fippa), il surplus lo mandiamo in discarica. “In Sicilia il dato dell’invenduto coincide con quello del resto d’Italia, circa il 13% – spiega Nino Buscemi, presidente dei panificatori di Palermo e coordinatore regionale della Fippa – di questo soltanto il 3-4% viene riutilizzato per la produzione di pan grattato. Poi, i panificatori più sensati tendono a macinare solo il pane prodotto con farina di grano tenero e non mischiano altri prodotti diversi dal toscanino o dalla mafalda”. Ed il restante 10% che fine fa? “ C’è chi come me lo destina ai canili privati. In passato l’ho donato pure a quello municipale, e tutte le mattine veniva un camion a ritirare non solo il pane, ma anche pizze, brioches e quant’altro. Ma poi, circa tre anni fa nel Comune di Palermo è cambiato il dirigente ed il servizio è stato interrotto. Un vero peccato. Noi saremmo ben disposti, nel caso in cui i comuni volessero fare un’intesa con le associazioni di categoria, a fornire il nostro contributo perché si ponga fine a questo spreco. Vede, ad esempio, la missione di Biagio Conte, si è ben attrezzata ed il pane se lo produce da sola grazie ad un forno che le è stato donato qualche tempo fa”. 
Anche la Cna, la Confederazione nazionale dell’artigianato e dell’impresa, conferma il dato: “Si tratta di un indice politico-economico – riferisce Daniela Piccione, responsabile del settore alimentare – che è emerso nel confronto fra gli operatori delle varie regioni. Il punto è che il dato non è nuovo. La differenza è che prima il non venduto veniva destinato agli allevamenti, e questo purtroppo oggi non succede più perché la resa viene ritenuta un rifiuto a tutti gli effetti. La nostra proposta è quella di considerare lo scarto della panificazione equivalente a quello della ristorazione, che è escluso dalla disciplina dei rifiuti e pertanto, con procedure semplificate, può essere conferito negli allevamenti”.
Ma, forse, il vero problema è che produciamo più pane di quanto ne consumiamo. La Fippa ha stimato una produzione annua di tre milioni 150 mila tonnellate in tutto il territorio nazionale, con un fatturato di 7,8 miliardi di euro. Probabilmente, se i panifici artigianali e la Grande distribuzione organizzata sviluppassero sistemi di previsione della domanda più accurati, si potrebbero ridurre al minimo gli sprechi. C’è anche chi utilizza semilavorati (baguette congelate, per esempio) da infornare man mano che entrano i clienti. Ma anche questa potrebbe non rivelarsi una soluzione, visto che i tempi che ci impone la nostra società oggi sono sempre più veloci e, se non troviamo il pane già bello e pronto sul bancone, alziamo i tacchi e cambiamo panificio.

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