Se è meglio essere precario o disoccupato - QdS

Se è meglio essere precario o disoccupato

Carlo Alberto Tregua

Se è meglio essere precario o disoccupato

giovedì 09 Agosto 2018

Valorizzazione del lavoro in sé

Precario vuol dire che “una condizione da un momento all’altro può evolversi in peggio”. Invece, nel diritto romano, il precario è la concessione gratuita di un oggetto con patto di restituzione ad arbitrio del concedente.
Da queste due definizioni non si capisce come il termine in esame sia diventato quasi spregevole. Il decreto Dignità, approvato dal Senato martedì 7 agosto, ha tre obiettivi: la lotta alla ludopatia, vietando la pubblicità dei giochi d’azzardo; un nodo scorsoio alle imprese con l’irrigidimento dei contratti di lavoro e l’inserimento della causale che farà moltiplicare le cause davanti al giudice del lavoro; la disincentivazione delle delocalizzazioni. Alle aziende che hanno ricevuto aiuti pubblici e portano all’estero la loro attività entro cinque anni, verranno applicate multe salate, comprese tra due e quattro volte il sostegno ricevuto dallo Stato.
Troviamo giusto vietare la pubblicità dei giochi, ma il divieto non è sufficiente perché doveva essere esteso pure alla pubblicità dei medicinali, per evitare l’automedicamento di tante persone che sperperano soldi e si fanno del male.
 
Non troviamo adeguato al fine, che è quello di far aumentare l’occupazione, l’ingessatura dei rapporti di lavoro mediante la causale.
A nostro avviso è una forma palese di mammismo quella di volere obbligare le imprese ad assumere dipendenti dei quali non hanno bisogno.
È vero il contrario, che quando un’azienda ha le commesse, cioè gli ordini dei clienti, li evade utilizzando il proprio personale. Il quale deve essere addestrato, e questo ha un costo per l’impresa, che mai si lascerebbe sfuggire un bravo dipendente per sostituirlo con un altro che dovrebbe ricominciare daccapo la formazione.
Quando le imprese ricevono le commesse hanno tutte l’interesse di evaderle e quindi assumono il personale necessario alla bisogna. Ma chi ha detto che le commesse arrivino all’infinito? Ecco che l’imprenditore ha la necessità di assumere dipendenti in relazione al tempo necessario per evadere le commesse.
Il meccanismo è tutto qua: ordine dei clienti-evasione-utilizzazione di dipendenti. Solo degli incompetenti possono intervenire sul terzo segmento ignorando i primi due.
 
La domanda ricorrente è se sia meglio essere precario o disoccupato. Ovvero se sia meglio il contrario: essere disoccupato o precario. Vorremmo che i lettori rispondessero a questo dilemma, ma guardando in faccia tanti giovani e meno giovani, la loro risposta è inequivocabile: dateci lavoro, comunque sia, a condizione che vengano rispettati i contratti collettivi. Ecco l’obiettivo a cui dovrebbero puntare i sindacati: la valorizzazione e la protezione del lavoro in sé, che si evolve da solo senza bisogno di dirigisti.
Cinque milioni di italiani all’estero, cinque milioni di poveri, tre milioni di disoccupati, alcuni milioni di inoccupati che non studiano e non lavorano: questo è il quadro desolante dell’attuale situazione italica. Contro di esso, nessuno prende provvedimenti. Tutto si lascia marcire utilizzando una demagogia di altri tempi che mette fuori causa chi vorrebbe lavorare.
Con tre milioni di disoccupati l’importante è che essi abbiano una occupazione, ovvero siano messi nelle condizioni di utilizzare opportunità (che ci sono) finanziando le start up, anche quelle più bizzarre.
 
Ripetiamo il dilemma: meglio essere disoccupato o precario? Di questo termine si è costituita una figura ideologica, fuori dalla realtà, una specie di totem che politicastri senza ritegno hanno portato in giro per acquisire consenso da quei cittadini che ragionano con la pancia e non con la testa. Analogo il comportamento dell’altro corno della coalizione, cioè Salvini, che ha continuamente vituperato la legge Fornero che ha salvato l’Italia e che ora è sparita dall’azione di Governo.
Quando si passa dalla protesta per acquisire consensi ai luoghi ove si deve governare il Paese, si prende atto della realtà e i comportamenti s’invertono.
Nel Contratto del cambiamento non abbiamo letto il proposito di aumentare fortemente investimenti pubblici in infrastrutture, materiali e immateriali, che è un imperativo per rimettere in moto l’asfittica ruota economica del nostro Paese. e con essa la vera occupazione.

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