Opere pubbliche, in Sicilia ritardo atavico - QdS

Opere pubbliche, in Sicilia ritardo atavico

Lucia Russo

Opere pubbliche, in Sicilia ritardo atavico

giovedì 28 Gennaio 2010

Il tempo complessivo che va dalla progettazione (esterna) all’assegnazione delle opere arriva a 1.600 giorni. Tra i principali fattori determinanti: carenze progettuali e Enti pubblici “cattivi pagatori”

PALERMO – La realizzazione di opere pubbliche è spesso soggetta a tempi molto lunghi e ad aggravi di costo elevati rispetto alle previsioni iniziali. La Sicilia è tra le regioni dove questo fenomeno è particolarmente evidente. I dati per valutare in che misura e per quali motivi i tempi di realizzazione e gli aggravi di costo differiscano tra le aree territoriali sono però scarsi.
La stessa Corte dei Conti ha rilevato che le ampie lacune informative vanno ricondotte alla generalizzata assenza di una “cultura della programmazione e del monitoraggio” sia all’interno della Pa, sia nei rapporti con i privati. La Banca d’Italia, nel volume “Mezzogiorno e politiche regionali”, all’interno del capitolo “I problemi nella realizzazione delle opere pubbliche: le differenze territoriali” si è posta  l’obiettivo di documentare, ricorrendo a fonti informative diverse, le differenze territoriali nei tempi di realizzazione delle opere pubbliche e negli aggravi di costo e le principali cause sottostanti a tali fenomeni.
L’Osservatorio dei lavori pubblici censisce tutti gli interventi per lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro. Nel Rapporto annuale dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp) del luglio 2008 sono illustrati i tempi e i costi relativi ai lavori avviati dall’inizio del 2000 e completati entro il 2007.
L’Osservatorio segnala che nel 2007 il tempo necessario per passare dall’affidamento del progetto all’aggiudicazione di una gara per l’esecuzione dell’opera era mediamente di 900 giorni, 230 giorni in più rispetto al 2000 e circa 150 rispetto al 2005. In Sicilia si arriva anche a 1.600 giorni.
Nel caso dei ritardi, tra le diverse aree del Paese emergono significative differenze. In base ai dati dell’Avcp, nel 2007 il tempo complessivo che va dalla progettazione (esterna) all’assegnazione delle opere risulta nel Sud e nelle Isole superiore alle altre aree del paese.
Rispetto al 2000 in queste due aree i tempi complessivi hanno segnato forti incrementi, mentre sono diminuiti nel Nord Ovest. Oltre alla progettazione, anche i tempi che intercorrono fra l’approvazione dei progetti e la relativa pubblicazione dei bandi sono particolarmente elevati nel Mezzogiorno rispetto alle altre aree.
Considerando le singole regioni, tempi particolarmente lunghi nel 2007 si rilevano in tutto il Mezzogiorno, ad eccezione di Puglia e Sardegna, e in Valle d’Aosta. La progettazione, che assorbe quasi i due terzi dei tempi considerati, è la procedura la cui durata è maggiormente aumentata rispetto al 2000 (+33 per cento), a fronte di un aumento modesto nei tempi di approvazione dei progetti, di una stasi in quelli dell’aggiudicazione definitiva e di riduzioni del 10 per cento circa nel caso della pubblicazione dei bandi e nella presentazione delle offerte.
L’Unità di Verifica degli investimenti pubblici (Uver), struttura tecnica del Ministero per lo Sviluppo economico, ha svolto negli ultimi anni gli unici veri e propri monitoraggi sull’evoluzione delle opere pubbliche.
In generale i ritardi di realizzazione dei lavori riguardano la maggioranza delle regioni, ma nel Mezzogiorno risultano concentrate le principali criticità.
In particolare: i) le opere che vengono revocate, perché non avviate nemmeno dopo anni dal finanziamento, sono 3 nel Centro Nord (4 per cento dei fondi dell’area) e 15 nel Mezzogiorno (10 per cento dei fondi), concentrate in Campania, Basilicata e Sicilia; ii) i lavori ultimati in modo ritenuto negativo (ispezionati e che non assolvono la funzione richiesta) sono stati 4 in Campania (per 5 milioni di euro), 3 in Calabria e in Molise (per 3,2 e 1,2 milioni rispettivamente) e 1 nel Lazio (0,8 milioni); iii) i lavori formalmente consegnati, ma non collaudati, o messi in opera in tempi ragionevoli, e quindi non fruibili sono stati 6 in Puglia (per quasi 30 milioni di euro), 3 in Abruzzo (6,1 milioni), 2 in Campania (4,0 milioni), 1 in Sardegna e Sicilia (3,1 e 2,6 milioni rispettivamente).
 

 
Le imprese del Centro Nord chiedono maggiore severità nell’applicazione al Sud delle norme vigenti
 
Nel periodo settembre-ottobre del 2005 un’indagine della Banca d’Italia ha rilevato il giudizio di un campione di imprese edili italiane con prevalente attività nel comparto delle opere pubbliche riguardo alla rilevanza di diversi possibili fonti di ritardo e di aggravio dei costi nella realizzazione dei lavori. Secondo tali imprese le cause maggiormente rilevanti dei ritardi sono rappresentate da carenze progettuali e ritardi di pagamento da parte degli Enti pubblici (55 per cento circa delle imprese), da insorgenza del contenzioso, dai conflitti tra Enti pubblici e dalle carenze nei procedimenti amministrativi e autorizzativi (entrambe circa il 37 per cento), da indisponibilità delle aree su cui lavorare e dalle lentezze nelle verifiche ambientali (23 per cento). Le differenze territoriali risultano significative, con le imprese del Mezzogiorno che attribuiscono maggior peso ai ritardati pagamenti pubblici per i lavori effettuati (61 per centro contro 50) e alle carenze progettuali delle Amministrazioni pubbliche (61 per cento contro il 54 nel Centro Nord).
Dall’indagine 2008 emerge un segmento di mercato del Centro Nord molto differente da quello del Mezzogiorno, in quanto caratterizzato da una graduatoria dei problemi decisamente diversa, soprattuto per il diverso peso dell’illegalità. Le imprese del Centro Nord sembrano ritenere necessaria per il Mezzogiorno una maggiore severità nell’applicazione delle norme vigenti, come nel rilascio delle attestazioni Soa (46 per cento, cosa riconosciuta anche dalle imprese meridionali), ma anche nel ricorso a maggiori e più rapide penali in caso di inadempienze contrattuali (16,5 per cento), elemento considerato invece poco rilevante dalle imprese meridionali.

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