Sicilia e deindustrializzazione. Nessuna paura con l’industria blu - QdS

Sicilia e deindustrializzazione. Nessuna paura con l’industria blu

Michele Giuliano

Sicilia e deindustrializzazione. Nessuna paura con l’industria blu

giovedì 28 Gennaio 2010

Le grandi industrie vanno via dall’Isola per sfruttare i costi più bassi della mano d’opera. La vocazione naturale è il turismo, occorre investire per una riconversione

PALERMO – Gli affari sono affari e il lato umano deve mettersi da parte. è così che in Sicilia si sta verificando il cosiddetto effetto di “deindustrializzazione”: le grandi industrie, cioè, stanno smobilitando verso quei paesi dove la mano d’opera costa molto meno.
Così la Sicilia è stata sfruttata sin quando si è potuto, salvo poi fare marcia indietro e salutare tutti se magari c’è qualcun altro che offre condizioni più convenienti. Così sta facendo la Fiat che dietro si porta altre industrie che hanno caratterizzato il polo produttivo siciliano per anni: la Sielte, Fincantieri, l’Italtel, solo per citarne alcune. In tutto si parla di posti di lavoro in bilico per 2 mila e 300 unità che da sole rappresentano oltre il 5 per cento dell’intero parco disoccupati del 2009. Un’altra mazzata per l’economia siciliana.
Ad avere lanciato l’allarme sulla desertificazione industriale l’Ugl Metalmeccanici: “Un allarme – si legge in una nota dell’organizzazione di categoria – che è stato, però, ignorato negli anni dai governi siciliani, forse perché distratti dagli affari interni di partito e dagli scontri per il potere. Ovvero, le più importanti aziende stanno delocalizzando verso le aree a basso costo nonostante i vari contributi e finanziamenti pubblici ricevuti negli anni e a ridosso della probabile uscita della regione dal sostegno da parte della comunità europea”. Di recente proprio l’Ugl ha rilaciato una sua proposta per la realizzazione di una norma che vincoli le aziende al territorio a fronte di aiuti pubblici ricevuti. I casi più eclatanti nella Sicilia occidentale riguardano la chiusura annunciata dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e il dirottamento dei lavori di ristrutturazione delle navi Tirrenia, affidate originariamente a Fincantieri Palermo, verso i cantieri croati che si sono aggiudicati l’appalto a ribasso.
“Se la Fiat non rivedesse i suoi piani – dice Ugl – andrebbero persi circa 2 mila posti di lavoro. Per quanto riguarda Fincantieri, la privazione di mesi di produzione dovuta al rimessaggio della nave Ignazio Florio presso un cantiere privato in Croazia, peggiorerebbe la situazione all’interno dei Cantieri navali di Palermo già provata dalla cassa integrazione”. I licenziamenti sono stati annunciati anche dalla Sielte, gruppo delle installazioni telefoniche. 550 esuberi a livello nazionale, di cui circa 150 in Sicilia. Seguono i 230 esuberi annunciati su Palermo da parte di Italtel. “Per queste aziende – dice l’organizzazione di categoria – sono stati programmati scioperi e iniziative a difesa dell’occupazione. Per Fiat si stanno programmando azioni di lotta ad oltranza. In Fincantieri si è scioperato il 12 gennaio e si stanno programmando nuove iniziative. Per quanto riguarda la Sielte si è partiti subito con un pacchetto di 16 ore di sciopero, articolato con 4 ore giornaliere a fine turno”. Senza parlare poi della situazione complessiva che vede ad esempio a Catania, dopo due anni di trattative sindacali, ancora senza lavoro i 164 lavoratori ex Sat. Una situazione quindi che sembra irreversibilmente stia sfuggendo di mano a tutti.
Ma la soluzione c’è, ed è la riconversione dell’industria pesante (e dei suoi addetti) nell’industria blu del turismo. In attesa si potrebbe pensare ad una soluzione stile “Piano Alitalia”. L’industria del turismo è l’unica in Sicilia (insieme a quella verde legata alle energie rinnovabili) a garantire un futuro. Non ha alcun senso mantenere lo status quo (destinando dei fondi a perdere), la Regione deve invece investire nella formazione, adeguandola al mercato e facendola diventare utile per una riconversione.
 

 
L’approfondimento. Un fronte comune con le istituzioni
 
La posizione è chiara e netta da parte dell’Ugl: unirsi per contrastare questo fenomeno di deindustrializzazione in Sicilia. “Per limitare i danni di una desertificazione industriale in Sicilia annunciata – continua ancora la nota -, per salvare il salvabile e per progettare un rilancio dell’intero tessuto produttivo ed economico della Sicilia, occorre fare fronte comune con tutte le istituzioni con l’attivazione di una task force. La Sicilia ha tantissimi deputati al Parlamento nazionale ed è ora che questi si adoperino per rappresentare concretamente gli interessi dell’Isola. Infine, auspichiamo, che dopo tanti rimpasti il Governo regionale inizi a lavorare sul serio per salvare la Sicilia da una diagnosi che dà per morta l’industria”. “La crisi non riguarda più questa o quell’azienda, per questo chiediamo ai governi regionale e nazionale di istituire un tavolo nazionale di confronto con le organizzazioni sindacali”. La proposta è di Antonello Cracolici, Giuseppe Lupo e Costantino Garraffa, rispettivamente presidente del gruppo Pd all’Assemblea regionale siciliana, segretario regionale del partito e vicepresidente della commissione Industria al Senato.

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