La Sicilia regina del sommerso, l'artigianato si tinge di "nero" - QdS

La Sicilia regina del sommerso, l’artigianato si tinge di “nero”

Michele Giuliano

La Sicilia regina del sommerso, l’artigianato si tinge di “nero”

giovedì 23 Agosto 2018

L'allarme nel report di Confartigianato: il tasso degli irregolari ha superato il 20%. Nell’isola l’indice è tra i più elevati: 2,1 irregolari per ogni addetto, quarto posto in Italia

PALERMO – Troppi irregolari, troppo lavoro sommerso tra gli artigiani siciliani. I dati parlano chiaro: secondo l’ufficio studi della Confartigianato imprese, l’analisi degli ultimi dati disponibili elaborati in questi giorni dal centro studi nazionale evidenzia che nel 2015 in Italia sono 3 milioni e 724 mila le unità di lavoro equivalenti non regolari, occupate in prevalenza (71,2% del lavoro irregolare) come dipendenti, con 2 milioni e 651 mila unità, a cui si aggiunge 1 milione e 72 mila unità indipendenti non regolari (il restante 28,8%).
 
La crescente presenza sul mercato di figure autonome irregolari è evidente nel lungo periodo: in quattro anni crolla del 5,1% il lavoro indipendente regolare mentre salgono del 2,5% gli indipendenti irregolari, intensificando il fenomeno dell’abusivismo e della concorrenza sleale nei confronti delle imprese artigiane regolari.
 
 
In sintesi, il tasso di irregolarità del lavoro indipendente è giunto al 20,6%, il massimo degli ultimi 20 anni. Indicativo, in questo caso, il cosiddetto “indice di pressione di concorrenza sleale”, con cui si rileva il rapporto tra lavoratori regolari e irregolari. Se la media nazionale è di 1,1 lavoratori regolari contro un irregolare, in Sicilia il valore è raddoppiato, altri valori elevati si riscontrano in Campania con 3,6 occupati non regolari per ogni addetto dell’artigianato, nel Lazio con 3,3 e in Calabria con 2,8.
 
Nel dettaglio i maggiori comparti dove si riscontra una elevata irregolarità sono: le costruzioni, gli altri servizi alla persona, i trasporti e magazzinaggio ed i servizi di alloggio e di ristorazione. La concorrenza sleale del sommerso è un fattore di blocco dello sviluppo che spiazza le imprese oneste attraverso diversi meccanismi. In primis, le imprese che evadono possono mantenere prezzi più bassi; ancora, la minore competitività delle imprese regolari può rendere ‘più conveniente’ attivare azioni di evasione fiscale: nel lungo termine tendono a sopravvivere imprese marginali mentre le imprese solide si avvicinano progressivamente alla marginalità. Purtroppo, si innesca un meccanismo negativo: l’evasione a valle genera fondi extra contabili realizzati con i ricavi ‘in nero’ utilizzati per acquisti non documentati che diffonde ed allarga la portata del fenomeno.
 
Un circolo vizioso che favorisce i furbi e lascia indietro chi cerca di lavorare in maniera onesta e rispettosa delle leggi e dei diritti dei lavoratori. La quota più elevata di lavoro irregolare si trova in Calabria, con il 23%, seguita da Campania, al 21,5%, e Sicilia 20,3%. Valori altissimi, se si guarda alle regioni “virtuose”, come la Valle d’Aosta (9,9%), Bolzano (9,1%) e Veneto (8,8%), che registrano livelli considerati “fisiologici”, quando l’utopia si scontrerà con la pratica.
 
Per sottolineare la pervasività della concorrenza sleale del sommerso nel Mezzogiorno si possono mettere in evidenza due paradossali confronti. Nel primo paradosso si osserva che, nonostante la rilevante presenza di dipendenti pubblici, nel Mezzogiorno il lavoro sommerso pesa più di quello della Pubblica amministrazione. La vastità della concorrenza sleale nei confronti delle imprese regolari è evidente dal secondo paradosso che emerge da un confronto settoriale. Se prendiamo a riferimento i tassi di irregolarità settoriali si individua un metasettore del sommerso che somma gli occupati irregolari di tutti i settori: nel dettaglio nel Mezzogiorno il sommerso è il secondo settore dietro solo a quello dei servizi, vale quasi due volte (1,8) il manifatturiero e oltre tre volte e mezzo (3,6) il settore delle costruzioni.

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