Pieno di bioenergia per i piccoli Comuni - QdS

Pieno di bioenergia per i piccoli Comuni

Rosario Battiato

Pieno di bioenergia per i piccoli Comuni

mercoledì 10 Ottobre 2018

Sono circa 150 i centri isolani che potrebbero produrre colture a scopo energetico. Un’opportunità per rilanciare un comparto in crisi e dare una scossa all’occupazione. Delle colture da utilizzare in aggiunta a quelle delle rotazioni praticate normalmente. La Cia sposa il modello siciliano: un'occasione per l’agricoltura

PALERMO – Piccolo è rinnovabile e indipendente dal punto di vista energetico. Lo dicono i dati di Legambiente, contenuti nel rapporto “Comuni rinnovabili”, che hanno certificato la presenza di 40 Enti locali a livello nazionale, per la stragrande maggioranza tutti “piccoli”, come avanguardia di un modello che coniuga autonomia e sostenibilità, cioè 100% rinnovabili. Tra questi ci sono Badia, nella provincia autonoma di Bolzano, e poi Castelnuovo di Val di Cecina e Monterotondo Marittimo, in Toscana, e ancora molti altri. Gli esperti di Legambiente spiegano che “sono gli impianti a biomasse e geotermici allacciati a reti di teleriscaldamento a soddisfare ampiamente i fabbisogni termici dei cittadini residenti e un mix di impianti diversi da fonti rinnovabili a permettere di soddisfare e superare, spesso ampiamente, i fabbisogni elettrici”.
 
Non ci sono Comuni siciliani in questo elenco, e non stupisce visto in assoluto la produzione minima da bioenergie (frazione organica, residui vegetali, coltivazioni dedicate): appena sette impianti di biogas in tutta l’Isola e complessivamente 43 impianti a bioenergie che piazzano la Sicilia al tredicesimo posto nazionale (258,6 GWh di produzione, 17 volte in meno della produzione lombarda, dati dell’Osservatorio dell’Energia della Regione).

Lo spreco, insomma, è servito, a fronte di una raccolta differenziata ancora agli albori e del predominio delle discariche (circa l’80% dei rifiuti urbani in discarica nel 2016, dati Ispra), considerando che una tonnellata di rifiuto organico può produrre circa 300 m3 di biometano (elaborazione Gse su dati Snam del 2016), e di una ampia disponibilità di biomassa solida, di residui arborei, forestali e agricoli, i piccoli comuni isolani faticano a trovare la strada giusta. Eppure esistono già proposte e modelli per utilizzare gli scarti agricoli e forestali per produrre energia e per rilanciare le aree agricole depresse tramite i biodigestori oppure per impegnare l’umido cittadino e permettere considerevoli risparmi alle amministrazioni pubbliche. Tutte storie interessanti e poco praticate.
 
Ripartire dai piccoli nel nome della sostenibilità
 
Dai piccoli bisogna ripartire in tutti i sensi. Lo ha detto, proprio nei giorni scorsi, Massimo Castelli, coordinatore Nazionale Anci Piccoli Comuni, che ha partecipato a Milano al convegno “Comunità e territori per il futuro della Lombardia”, organizzato da Coldiretti Lombardia in collaborazione con la Fondazione Symbola. Per il coordinatore Anci “è fondamentale abbinare cultura, territorio e ambiente, elementi fondamentali del brand Italia che si trovano nei territori periferici, alle spalle delle grandi aree urbane afflitte da problemi gravi come l’inquinamento”. Il riferimento è alle “colline toscane, a quelle piacentine o alle Langhe, tutte zone in cui l’agricoltura ha plasmato il paesaggio che ora tocca ai piccoli Comuni preservare per il futuro”. Per Castelli è necessario creare una “lobby positiva tra associazioni e categorie per dare una spinta alla politica perché si prenda carico del tema dei piccoli Comuni”. Un passaggio fondamentale anche per mettere in atto la legge Realacci e che, in termini di agricoltura da rilanciare, potrebbe trovare ampio respiro anche in una regione tradizionalmente agricola come la Sicilia.
 
La Cia sposa il modello siciliano: occasione per l’agricoltura
 
Un modello tutto siciliano esiste. Se ne è discusso, nelle scorse settimane, nel corso della manifestazione “Blue Sea Land” a Mazara del Vallo, in particolare nella sezione Bio-economy, cioè la produzione di biogas (metano ricco di Co2) a partire dalla trasformazione anaerobica dei rifiuti. Mario Ragusa, ricercatore Irvo (Istituto regionale vino e olio), ha illustrato il progetto di un biodigestore che ha consentito la trasformazione di rifiuti in risorsa: un processo permesso tramite l’utilizzo degli scarti di un’azienda agricola come combustibile per produrre energia e un ottimo fertilizzante utilizzato per coltivare gli ortaggi a chilometro zero. L’obiettivo, ha spiegato Ragusa, è quello di trasformare questo metano con una purezza del 50% in metano sintetico 100% che “poi utilizzeremo nel trattore modificato con cui coltiveremo le vigne al fine di ottenere il vino con la qualifica zero carbon foot print, ovvero vino emissioni zero”. Un sistema da allargare alle amministrazioni pubbliche: “Consentiremo alla Sicilia, con i nostri studi, di diventare l’Arabia Saudita Verde di tutto il mediterraneo, e gli agricoltori saranno i fautori della rivoluzione”. Anche Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia, si è “dimostrato disponibile – ha aggiunto Ragusa – ad appoggiare l’iniziativa di Economia circolare”.
 
L’esercito dei piccoli Comuni agricoli siciliani
 
Sulla base di un’elaborazione su dati Ancitel, la società di servizi per i comuni dell’Anci, è stato redatto un elenco di 1.225 comuni nazionali non capoluogo che presenta una elevata e prevalente presenza di redditi da attività agricole. Tra questi ce ne sono circa 150 siciliani, cioè circa il 12% del totale nazionale, e, andando in dettaglio, una novantina che si trovano al di sotto dei 5 mila abitanti.
Già lo studio di Biagio Pecorino, docente dell’Università di Catania, aveva messo in evidenza, nello studio “Biomethane done right An advanced biofuel”, la possibilità di utilizzare colture di integrazione, cioè le cosiddette colture intercalari a scopo energetico da utilizzare in aggiunta, prima o dopo, a quelle previste nelle rotazioni normalmente praticate nei diversi comprensori agricoli, e biomasse di scarto. A disposizione ci sarebbero circa 28 mila ettari precedentemente impegnati per l’alimentazione umana e produzione di mangimi, pari a circa il 2% della superficie agricola utilizzata. Una proiezione di questo sistema fornisce dei numeri molto interessanti: 500 milioni di metri cubi all’anno di produzione e consentire al contempo un’occupazione di 3.000/3.500 unità.
 

 
Quel biodigestore capace di contribuire alla produzione di vino a emissioni zero
Un progetto importato dall’estero da Mario Ragusa, ricercatore all’interno dell’Irvo
 
PALERMO – Mario Ragusa, enologo e ricercatore per la Regione siciliana all’interno dell’Irvo (Istituto regionale vino e olio), ha portato in Italia il progetto del biodigestore Homebiogas 2.0 che permette di utilizzare l’umido per produrre gas metano e rilascia come residuo un ottimo fertilizzante naturale.
 
Homebiogas 2.0 è stato messo a punto per esigenze domestiche: avete pensato a utilizzarlo anche per le esigenze di un piccolo Comune?
“Sì, stiamo già iniziando uno studio con il dipartimento di Ingegneria di Enna. Assieme al professore Antonio Messineo vorremmo realizzare una piattaforma su cui collegare 50 biodigestori e un sistema di accumulo del biogas prodotto di almeno 50 metri cubi, il sistema di accumulo, montato su container, sarà dotato di tutti i sistemi di sicurezza e prevediamo di installare un generatore di corrente per produrre energia elettrica da utilizzare per l’illuminazione pubblica e il calore prodotto dal generatore sarà utilizzato per riscaldare i biodigestori”.
 
In che modo una piccola amministrazione pubblica può investire in questo sistema per risparmiare sui consumi energetici?
“Il piccolo impianto si sposa bene per la soluzione individuale del rifiuto organico, mentre se si vuole risolvere il problema nelle nostre città di deve necessariamente investire in impianti di trattamento di almeno 20.000 tonnellate anno di umido. Considerato che per ogni abitante si producono mediamente 480 kg/anno di rifiuti e che il 30% circa è rappresentato dall’organico, un impianto consortile da 20.000 tonnellate all’anno potrebbe servire circa 150.000 abitanti equivalenti e otterrebbero dalla biodigestione ben 5.000.000 di kW di energia elettrica e oltre 15.000 tonnellate anno di fertilizzante di ottima qualità”.
 
Nelle scorse settimane anche l’assessore regionale ai Rifiuti, Alberto Pierobon ha voluto osservare da vicino il progetto. Segnali di svolta dalla Regione?
“La visita dell’assessore è stata molto positiva: ci ha chiesto di presentare dei progetti pilota a cui stiamo lavorando con il professore Messineo e infatti si sta firmando, a tal proposito, una convenzione tra il mio Ente Irvo (Ente di ricerca della regione Sicilia nel settore del vino e dell’olio) e l’Università Kore di Enna, per avviare un approfondimento, dal momento che il recente decreto biometano apre scenari interessanti per la produzione di biometano dai sottoprodotti delle filiere agricole, cercheremo inoltre di riprendere le ricerche passate per metanizzare anche la Co2 prodotta nei processi di fermentazione dei vini. Per noi è importante realizzare questo progetto perché daremmo l’opportunità agli agricoltori di pervenire quanto prima alla produzione di vini a emissione zero, il metano sintetico prodotto sarebbe utilizzato per la coltivazione delle vigne”.
 
State collaborando anche alla redazione del Piano energetico regionale?
“Con il professore Messineo stiamo lavorando, in collaborazione con il dipartimento regionale dell’Energia diretto dall’ingegnere D’Urso, per l’elaborazione del Piano energetico ambientale Pears, con lo specifico incarico di trattare la biodigestione dei rifiuti organici al fine di produrre energia rinnovabile e aumentare la quota di Fesr. In tal senso stimiamo che se tutto l’organico della regione venisse trattato con la biodigestione si produrrebbero 45 milioni di metri cubi di biometano che se utilizzato nel trasporto urbano potrebbero ridurre sensibilmente il Pm 10”.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017