Educazione alla legalità tre modelli, unico obiettivo - QdS

Educazione alla legalità tre modelli, unico obiettivo

redazione

Educazione alla legalità tre modelli, unico obiettivo

mercoledì 31 Ottobre 2018

Un rapporto sul tema è stato presentato dall’Università di Milano. A scuola si pongono le basi per combattere i fenomeni mafiosi

MILANO – L’educazione alla legalità nella Scuola italiana ha visto le sue prime forme di istituzionalizzazione concrete tra il 1980 (l’anno della legge siciliana) e il 1992 (l’anno delle stragi). Inizialmente vi hanno partecipato in modo significativo solo alcune regioni. Si tratta principalmente di Sicilia, Calabria e Campania al Sud, e di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna al Nord. Queste regioni hanno affrontato il percorso con modalità e motivazioni diverse, tanto che si può oggi parlare di differenti modelli educativi alla legalità che si sono sviluppati in questi territori.
 
Il modello lombardo appare caratterizzato da alcuni importanti tratti distintivi come la forte concentrazione iniziale delle attività formative e di sensibilizzazione nell’area del capoluogo regionale, con una progressiva estensione territoriale per cerchi concentrici negli anni successivi; una elevata autonomia della società civile nello sviluppo delle iniziative, con una rilevante indipendenza dalle amministrazioni locali; il ruolo di leadership e di stimolo esercitato da una quota considerevole di insegnanti meridionali.
 
Diverso il modello emiliano, che esprimendo riconoscibili peculiarità storiche e politiche è caratterizzato invece da un duopolio nella promozione di iniziative (Bologna e Rimini) e soprattutto dal ruolo giocato dalle amministrazioni locali, anche attraverso le biblioteche, nella promozione e nel sostegno delle iniziative antimafia nelle scuole.
 
Il modello siciliano è a sua volta contraddistinto da una partecipazione plurale e diffusa sul territorio, specie sulle coste costiere. Se la funzione di Palermo spicca per il tenore delle iniziative amministrative (si pensi all’adozione di un monumento per ogni scuola) e per i successi ottenuti, specie negli anni Novanta, nella lotta all’abbandono scolastico, si ha tuttavia una importante fioritura di iniziative in quasi tutte e nove le provincie siciliane, proprio nella logica auspicata dalla legge del 1980. Il modello calabrese si qualifica infine per il ruolo decisivo che vi giocano a lungo, in una combinazione inedita, due attori particolari: la federazione giovanile del Partito Comunista e la Chiesa cattolica.
 
Si tratta di una miscela politico-civile di cui è più facile rintracciare gli echi nelle esperienze di mobilitazione studentesca nel Sud che in quelle del Nord.
 
È quanto emerge dal rapporto “Storia dell’educazione alla legalità nella scuola italiana”, predisposto dall’Università degli Studi Milano e presentato nei giorni scorsi al Belvedere di Palazzo Pirelli. L’evento è stato promosso dalla Commissione speciale “Antimafia, anticorruzione, trasparenza e legalità” presieduta da Monica Forte, in collaborazione con il MIUR e con l’Università degli Studi di Milano.
 
“L’educazione alla legalità è un tema particolarmente sentito dal Consiglio Regionale della Lombardia – ha evidenziato nel suo intervento la Presidente Forte – perchè la partita vera sul fenomeno mafioso la giochiamo innanzitutto a scuola e nei numerosi percorsi formativi che le istituzioni ai vari livelli stanno promuovendo in questi ultimi anni”.

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