Evasione fiscale: Comuni sordi e muti - QdS

Evasione fiscale: Comuni sordi e muti

Paola Giordano

Evasione fiscale: Comuni sordi e muti

giovedì 01 Novembre 2018

Gli Enti locali dell’Isola continuano a sonnecchiare e in questo modo i furbetti hanno vita facile. Milano, nel 2017, ha recuperato 1,3 mln di euro. La migliore siciliana, Messina, appena 16 mila euro. Necessario collaborare maggiormente con Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate

PALERMO – Nella lotta all’evasione i Comuni siciliani dormono ancora, ahinoi, sonni beati.
Nel 2017 il numero di accertamenti sui tributi erariali effettuati con il contributo degli Enti locali si ferma infatti a 60, contro i 91 dell’anno precedente ma, soprattutto, contro i 264 casi riscontrati nel 2014. Un peggioramento sconfortante che acuisce il divario persistente con le più virtuose cugine settentrionali, che lo scorso anno hanno raggiunto risultati nettamente superiori: ben 284 segnalazioni in Emilia-Romagna, 206 verifiche in Lombardia e altrettante in Liguria.
Eppure, al di là del sacrosanto senso di giustizia che muove azioni volte a contrastare un reato, i Comuni siciliani dovrebbero avere tutto l’interesse ad impedire ai furbetti di farla franca, perché in ballo ci sono tanti soldini.
 
Nonostante la scarsa sensibilità al problema della lotta all’evasione che, numeri alla mano, si constata in tutta Italia, un recente studio della Cgia di Mestre, realizzato sulla base dei dati del Ministero dell’Interno e del dicastero dell’Economia, scatta la fotografia di due Italie che continuano a viaggiare su binari diversi: da un lato i Comuni settentrionali che, grazie alla partecipazione delle amministrazioni locali, riescono a recuperare cifre sì contenute ma comunque dignitose (con la città di Milano che si accaparra l’etichetta di capoluogo più virtuoso avendo recuperato 1,3 milioni di euro). Dall’altro le città meridionali che, invece, hanno riscosso cifre molto risicate.
 
Per limitarci alle sole siciliane, Catania ha sfiorato i 3.500 euro, Siracusa 3.763, Agrigento ed Enna fanno un po’ meglio ma restano sotto alla soglia dei 5.000 euro. Palermo raggiunge quota 6.646 euro, ma è Messina ad attestarsi come il “migliore” tra i capoluoghi dell’Isola con 16.095 euro. Le peggiori sono invece Ragusa, che ha incassato solo 325 euro, mentre Trapani e Caltanissetta non hanno effettuato nemmeno una “segnalazione qualificata” che abbia originato un recupero di imposte evase. Un vero e proprio abisso, insomma.
 
Se si rapportano queste cifre al numero di contribuenti dei rispettivi capoluoghi emerge poi uno scenario imbarazzante: i 325 euro recuperati a Ragusa corrispondono a un centesimo a contribuente. Catania e Palermo di centesimi ne hanno recuperato due in rapporto ai loro cittadini che pagano le tasse, mentre Siracusa arriva a cinque. Messina e Agrigento riscattano rispettivamente 12 e 13 centesimi. Enna, infine, con i suoi 27 centesimi a contribuente è tra le siciliane la più “virtuosa”.
 
Eppure i Comuni siciliani dovrebbero essere guidati dallo stesso interesse che spinge gli altri Enti locali della Penisola a lottare in modo più determinato contro l’evasione. Perché potrebbero contare su un’entrata finanziaria non indifferente che, stando ai risultati finora ottenuti, non stanno ancora sfruttando appieno: quella cioè derivante dalla cosiddetta quota incentivante. Ecco, nel dettaglio, di cosa si tratta.
 
Recependo la normativa nazionale risalente al 2005 (Legge 248/2005 modificata dalla Legge 122/2010), la Regione introdusse l’attribuzione agli Enti locali di una quota pari al 33 per cento delle somme riscosse con il concorso degli stessi (Lr 26/2012). Vale a dire, in sostanza, che un terzo di quanto recuperato dalla lotta all’evasione con il supporto attivo delle amministrazioni locali andava dritto dritto nelle casse comunali.
Il legislatore nazionale decise di aumentare quella quota dal 33 al 50 per cento con il Dlgs 23/2011 ma la Regione siciliana non sposò la causa di quanto stabilito a livello centrale.
La svolta arrivò con il Dl 138/2011 (convertito nella Legge 148/2011), che stabilì – inizialmente per i soli anni 2012, 2013 e 2014, con il Dl 192/2014 prorogato fino al 2017 – di lasciare ai Comuni l’intero importo riscosso. E arrivò anche per l’Isola, adeguatasi alle linee guida nazionali passando direttamente dalla quota 33 per cento a quella 100 per cento, in via provvisoria fino a 2016, con la Lr 5/2014.
 
E non è finita qui: i Comuni godono tutt’oggi – e continueranno a goderne per tutto il prossimo anno – del 100 per cento di quanto riscosso perché i tempi sono stati ulteriormente dilatati. La quota 100 è infatti ancora in vigore perché i termini di applicazione sono stati prorogati fino al 2019 sia a livello nazionale (Legge 225/2016) che in Sicilia (Lr 8/2017).
 
Dunque fino a quella data gli Enti locali isolani percepiranno l’intero importo di quanto recuperato. Un’occasione ghiotta per le esigue tasche comunali. Peccato che, a conti fatti, sommando i dati dei nove capoluoghi siciliani relativi allo scorso anno , sono stati recuperati complessivamente neanche 40 mila euro, mentre il solo Comune di Milano di euro ne ha incassati – come già evidenziato – ben 1,3 milioni, Genova ha incamerato 967.577 euro, Prato 751.620 euro, Torino 517.952 euro, Bergamo 505.448 euro e Reggio Emilia 447.390 euro.
 
Per individuare modalità, strumenti e soluzioni che rendano più efficace ed efficiente la partecipazione dei Comuni al recupero dell’evasione fiscale dei tributi erariali, la Regione siciliana, l’Anci Sicilia e la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate hanno siglato il 15 giugno del 2012 un protocollo di intesa. Al quale però, al 15 ottobre 2018, hanno aderito meno della metà delle amministrazioni locali siciliane: 149 su 390.
 
Quella della lotta all’evasione risulta dunque, a oggi, l’ennesimo tallone d’Achille dei Comuni isolani. Occorre un serio piano di controllo da parte delle Amministrazioni locali per poter risalire la china.
 

 
Il punto dell’intricata matassa: la parola al Comando regionale Sicilia GdF
 
PALERMO – Per districare la complessa matassa della lotta all’evasione, abbiamo interpellato il capo Ufficio operazioni del Comando regionale Sicilia della Guardia di Finanza, tenente colonnello Maurizio Pellegrino.
 
Dai dati di Ministero dell’Interno e Ministero dell’Economia emerge che lo scorso anno i capoluoghi siciliani hanno recuperato complessivamente poco meno di 40 mila euro, mentre le singole città del Centro e del Nord hanno riscosso cifre nettamente superiori (Milano 1,3 milioni, Genova quasi 968 mila euro, Reggio Emilia 447 mila, solo per citarne alcune). Come commenta questi dati?
“Premetto che i dati citati sono relativi agli esiti dell’attività di accertamento svolta dall’Agenzia delle Entrate a seguito di controlli e verifiche effettuati dalla stessa Agenzia o dalla Guardia di Finanza, innescati da segnalazioni dei Comuni. In particolare, si fa riferimento alle procedure di attuazione della previsione legislativa di cui all’articolo 1, comma 1 del Dl 203/05 (convertito dalla Legge 248/05), il quale dispone la partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale dei tributi erariali, riconoscendo a essi, a titolo incentivante, una quota delle maggiori somme riscosse di tributi erariali su innesco delle loro segnalazioni. Nello specifico, le segnalazioni dei Comuni confluiscono automaticamente, attraverso una procedura informatica basata su criteri selettivi pre-impostati: all’Agenzia delle Entrate, nel caso in cui i dati e le informazioni segnalate sono idonei ad emettere immediatamente l’avviso di accertamento; alla Guardia di Finanza, se afferiscono a fenomeni evasivi possibili o, comunque, a situazioni più complesse che richiedono, quindi, ulteriori approfondimenti investigativi per chiare se c’è stata effettivamente sottrazione di materia imponibile e per quali entità. Per quanto concerne l’attività della Guardia di Finanza in Sicilia, posso riferire che dall’entrata in vigore di tale norma, sono pervenute a questo Comando in totale 956 segnalazioni da parte dei Comuni, nei confronti di contribuenti domiciliati nell’Isola. Di queste, nell’ambito della complessiva attività di vigilanza fiscale demandata ai Reparti del Corpo in Sicilia, ne sono state a oggi approfondite circa 500 tra quelle prima facie ritenute di maggiore interesse. Di queste, 95 sono risultate effettivamente rilevanti ai fini dell’avvio di appositi controlli esterni, poi conclusi con la constatazione di materia imponibile proposta all’Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione, afferente a diversi periodi di imposta”.
 
Il numero degli accertamenti dei tributi erariali realizzati con il contributo dei Comuni in Sicilia è fermo a 60 nell’anno 2017, contro i 284 dell’Emilia-Romagna o i 206 della Lombardia. Vista tale differenza con le altre Regioni, cosa possono fare i Comuni siciliani per incrementare questi dati?
“In occasione dell’entrata in vigore della citata norma, sia a livello centrale che periferico, compresa la Sicilia, in virtù di specifici accordi stipulati tra l’Agenzia delle Entrate, la Guardia di Finanza e gli enti di riferimento dei Comuni (l’Associazione nazionale Comuni d’Italia e l’Istituto per la finanza e l’economia locale), sono state svolte mirate attività formative nei confronti di funzionari di Enti locali preposti alla predisposizione delle segnalazioni. Di recente, tali accordi sono stati rivisti a livello nazionale, sollecitando il confronto tra le Istituzioni interessate allo scopo di dare impulso alle attività di specie, sfruttando appunto le varie esperienze nel frattempo maturate nelle varie regioni d’Italia per rinnovare le procedure di segnalazione e definire nuovi programmi di formazione tecnico-operativa degli addetti a questo comparto, nell’ottica di rendere più efficace ed omogenea sul territorio nazionale l’azione antievasione”.

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