Investimenti inadeguati: Sicilia senza futuro - QdS

Investimenti inadeguati: Sicilia senza futuro

Rosario Battiato

Investimenti inadeguati: Sicilia senza futuro

giovedì 08 Novembre 2018

Istat: i Comuni destinano soltanto briciole per spese in conto capitale e programmazione mentre le risorse dei Municipi vengono divorate da uscite improduttive e spesso clientelari. Mancano opere pubbliche, innovazione, riparazione del territorio. Ecco perché l’Isola affonda

PALERMO – I Comuni siciliani investono meno degli altri nel futuro. Il confronto con i gemelli di altre sei regioni italiane conferma che le spese in conto capitale, cioè quelle che determinano la programmazione di prospettiva di un Ente locale, risultano inferiori in settori che sono considerati strategici per lo sviluppo: turismo, beni culturali, trasporti, tutela del territorio e politiche giovanili.
 
Lo confermano alcuni dati riportati dall’Istat nell’ambito delle tavole di dati sulla finanza locale, che sono state rilasciate alla fine di ottobre e che fotografano la situazione finanziaria di tutti i Comuni nazionali. L’analisi si basa sui dati relativi all’esercizio 2016, gli ultimi disponibili, e hanno riguardato i “dati contenuti nei nuovi certificati del conto di bilancio (cosiddetti “armonizzati”) che i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno trasmesso al Ministero dell’Interno, ai sensi del Dlgs 118/2011, così come modificato dal Dlgs 126/2014”. Nell’ambito del lavoro sono analizzate le entrate accertate e riscosse per titolo, tipologia e categoria, e le spese impegnate e pagate per missione, programma, titolo e macroaggregato.
 
Per comprendere l’effettiva vocazione all’investimento dei Comuni isolani, bisogna porre l’attenzione su quelle che sono le spese in conto capitale, che comprendono, tra le altre cose, le spese per investimenti, sia diretti che indiretti. Questi ultimi, in particolare, si effettuano tramite assegnazione di fondi ad altri soggetti. Ci sono, inoltre, anche le spese di acquisizione di partecipazioni, azioni, per conferimenti e per concessioni di crediti per finalità produttive e via dicendo. L’analisi si è appunto focalizzata su quelle che sono alcune missioni particolarmente indicative che mettono in evidenza la distanza che separa la spesa degli Enti isolani da tutti gli altri (il dato fornito dall’Istat è aggregato). Il confronto è stato avviato con regioni che hanno valori superiori per comuni e popolazione, e con altre che invece sono inferiori: in ogni caso i risultati aggregati a livello siciliano risultano complessivamente inferiori.
 
Il punto che risulta maggiormente critico è quello relativo alla tutela e valorizzazione dei beni e delle attività culturali. I Comuni siciliani si fermano a poco più di 15,4 milioni di euro complessivi, in termini di impegni di spesa, e si tratta del dato più basso considerando le sei regioni prese come riferimento. Vince la Campania, con 43 milioni, seguita dalla Lombardia, che si spinge fino a 41, e quindi dalla Puglia (32) e poi dal Piemonte (22). Di pochissimo superiore alla Sicilia è l’altra Isola, la Sardegna, che supera il dato siciliano di circa mezzo milione di euro.
 
Altra missione clamorosamente indietro nella spesa è quella che riguarda il turismo, potenzialmente uno dei canali più fiorenti del sistema siciliano su cui, però, i Comuni non sembrano investire adeguatamente. Le spese in conto capitale in questo settore non arrivano ai 2 milioni di euro, un dato che risulta essere largamente il più basso nella spesa delle regioni considerate. I migliori sono gli Enti locali campani, che arrivano a 20 milioni di euro, seguiti dai 14,3 della Lombardia e poi dai 10 della Puglia, di un milione davanti a sardi e piemontesi.
 
Altro capitolo pesantemente in ritardo, anche questo oggetto di dibattito quotidiano in riferimento alla bassa qualità registrata in Sicilia, è quello dei trasporti e del diritto alla mobilità. Per i Comuni isolani il ritardo è particolarmente pesante. Soltanto 74 milioni di euro investiti, a fronte del mezzo miliardo dei colleghi lombardi e dei 366 milioni dei campani. Persino i pugliesi, con comuni e popolazione inferiore, spendono maggiormente (20 milioni in più dei siciliani) e lo stesso discorso vale per i sardi che si spingono fino a 86 milioni di euro.
 
Anche sul fronte dello sviluppo sostenibile e della tutela del territorio, due temi strategici per l’Ue, i comuni isolani restano abbastanza pigri, spingendosi fino a poco meno di 100 milioni di euro, davanti a Piemonte, Sardegna e Puglia, ma clamorosamente in ritardo rispetto ai lombardi (147 milioni di spesa) e ai campani, che hanno raggiunto quota 366 milioni.
 
Poca lungimiranza, infine, anche negli investimenti dedicati alle politiche giovanili, sport e tempo libero, passaggi ineludibili per migliorare la qualità della vita dei Comuni siciliani che, infatti, restano sempre in coda alle classifiche nazionali. I siciliani vengono doppiati da campani e piemontesi (circa 40 milioni contro 20) e addirittura quadruplicati dai lombardi che arrivano fino a 84 milioni di euro.
 

 
Intervista ad Alvano, segretario generale AnciSicilia
 
PALERMO – Mario Emanuele Alvano è segretario generale di Anci Sicilia, sezione regionale dell’Associazione nazionale dei Comuni.
 
Dalla rilevazione del QdS su dati Istat emerge la difficoltà della spesa negli investimenti per gli enti locali siciliani rispetto ai colleghi di altre Regioni, come si spiega?
“Temo che tutti gli indicatori dei Comuni siciliani, anche quelli relativi alla spesa ordinaria, siano diversi e ridotti perché a monte esiste una difficoltà sul fronte delle entrate. È un problema che deriva dalle criticità nella riscossione, che si riflette nelle entrate ridotte che poi vanno a incidere sulle spese ordinarie e su quelle per investimenti”.
 
Criticità che si evidenziano anche sul fronte della spesa dei fondi comunitari?
“L’ultima programmazione sulla carta dovrebbe essere a due anni dalla fine, ma in termini di spesa siamo ancora molto indietro. Sarebbe determinante avviare fattivamente un fondo progettazione e anche una diversa concezione degli avvisi, perché non è possibile chiedere una progettazione esecutiva senza porsi il problema se questa progettazione esiste in tutti Comuni. Il rischio è quello di escluderne molti”.
 
Allargando il quadro, esiste anche un problema di pianificazione per i Comuni siciliani?
“La pianificazione strategica è determinante, perché i progetti poi nascono da come i sindaci immagino la città. Tuttavia anche su questi punti andrebbe fatto un ragionamento più ampio, perché se il ritardo di molti comuni sui principali atti di controllo del territorio, dai piani regolati fino ai piani di protezione civile, continua a trascinarsi da anni, questo vuol dire che ci sono certamente responsabilità degli Enti locali, ma anche che è necessario ripensare al dato legislativo. Non è possibile chiedere a un piccolo comune gli stessi atti che poi vengono chiesti anche a una metropoli. Ci sono piccoli centri vicinissimi, oppure le aree metropolitane, che meriterebbero una diversa concezione di programmazione degli strumenti di gestione del territorio”.
 
Qual è la ricetta dell’Anci per superare queste difficoltà?
“Oltre al dato legislativo, che deve essere ripensato nell’ottica della semplificazione, appare opportuno mettere tutti gli Enti locali nelle condizioni di affrontare le richieste, anche attraverso l’assistenza tecnica esterna, quindi affidandosi allo Stato o Regione”.

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