Tracciabilità degli stipendi contro i datori di lavoro "furbetti" - QdS

Tracciabilità degli stipendi contro i datori di lavoro “furbetti”

Maria Papotto

Tracciabilità degli stipendi contro i datori di lavoro “furbetti”

sabato 10 Novembre 2018

Contante bandito: pagamenti possibili solo mediante strumenti elettronici o assegno. Restano esclusi dall’obbligo i rapporti di lavoro con la Pa e quelli di natura domestica

ROMA – Dal 1° luglio 2018 l’art. 1 commi 910 – 914 della Legge n. 207 del 27.12.2017 ha disposto l’obbligo da parte di datori di lavoro e committenti al pagamento delle retribuzioni ai lavoratori solo attraverso l’utilizzo esclusivo di uno dei seguenti mezzi:
• bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore;
• strumenti di pagamento elettronico;
• pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto il conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
• emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. Nello specifico, per delegato si intende il coniuge, il convivente o un familiare, in linea diretta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni.
 
Pertanto, i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere retribuzioni, compresi gli eventuali anticipi, per mezzo di denaro contante direttamente ai lavoratori, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.
Nel merito, l’ambito di applicazione, individuato dall’art. 1 comma 912, fa riferimento ai rapporti di lavoro di natura subordinata, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e della durata del rapporto, alle collaborazioni coordinate e continuative, nonché ai contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 142/2001 (c.d. soci lavoratori).
 
Mentre, secondo il comma 913, restano esclusi i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni, di cui al comma 2 all’art. 1 del D. Lgs. 165/2001, quelli di natura domestica, disciplinati dalla legge 339 del 02 aprile 1958, o più in generale quelli rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
 
L’obiettivo del legislatore è quello di tracciare i pagamenti di stipendi e anticipazioni, al fine garantire che la retribuzione corrisposta al lavoratore non sia inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva. La norma, sul piano probatorio, ribalta la presunzione di rivalsa in quanto la firma apposta sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione; sul piano sanzionatorio, qualora il pagamento delle retribuzioni avvenisse con mezzi diversi da quelli espressamente previsti dalla norma, prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 1.500 euro.
 
In merito al regime sanzionatorio, è intervenuto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 4538 del 22 maggio 2018 specificando che, nonostante l’utilizzo dei predetti sistemi di pagamento in favore del lavoratore, il datore di lavoro deve garantire che lo stesso sia andato a buon fine. Vale a dire, se il datore di lavoro, dopo aver emesso un assegno, successivamente procede all’annullamento dello stesso prima dell’incasso, tale azione non assolve l’obbligo previsto dalla normativa e si riconduce ad un comportamento elusivo da parte sua.
 
Inoltre, ad integrazione della suindicata nota, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la successiva n. 5828 del 04.07.2018, ha precisato che la determinazione della sanzione non deve tener conto del numero dei lavoratori coinvolti, quanto piuttosto, in presenza di pagamenti mensili, del numero dei mesi per i quali si è protratto l’illecito.
 
Infine, con la nota n. 7339 del 10 settembre 2018, sempre l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito che l’utilizzo di detti strumenti non è obbligatorio per la corresponsione di somme dovute a diverso titolo, come spese sostenute dai lavoratori nell’interesse del datore di lavoro e nell’esecuzione della prestazione, ad esempio anticipi e/o rimborso spese di viaggio, vitto e alloggio.
 
Le somme versate esclusivamente a titolo di rimborso potranno, quindi, continuare ad essere corrisposte in contanti. Invece, la corresponsione dell’indennità di trasferta, in considerazione della natura “mista” della stessa, rientra tra le somme da corrispondere nel rispetto degli obblighi di tracciabilità previsti dalla normativa.

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