Pil: divari da eliminare con scelte coerenti - QdS

Pil: divari da eliminare con scelte coerenti

Angela Carrubba

Pil: divari da eliminare con scelte coerenti

martedì 09 Febbraio 2010

Lo studio della Banca d’Italia: “Quali politiche per il Sud? Il ruolo delle politiche nazionali e regionali nell’ultimo decennio”. Governatore Draghi: “Politica economica non consente lo sviluppo”. Necessario misurare i risultati

CATANIA – Nelle settimane scorse abbiamo trattato di un saggio contenuto nel volume “Mezzogiorno e politiche regionali” edito da Bankitalia nel dicembre 2009 che riporta una serie di studi sull’argomento del divario esistente all’interno della realtà economica italiana. E nel dicembre 2009 il Governatore Mario Draghi, nell’intervento di apertura dell’incontro “Il Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia”, ha ricordato che l’Istituto ha sempre posto al centro dell’attenzione del proprio ufficio Studi le analisi sui risultati (o non risultati) delle politiche economiche per affrontare i diversi divari presenti da sempre nel Paese. “Abbiamo tutti bisogno dello sviluppo del Mezzogiorno” – ha detto Draghi – “Il divario di Pil pro capite rispetto al Centro Nord è rimasto sostanzialmente immutato per trent’anni: nel 2008 era pari a circa quaranta punti percentuali. Il Sud, in cui vive un terzo degli italiani, produce un quarto del prodotto nazionale lordo ma rimane il territorio arretrato più esteso e più popoloso dell’area dell’euro.
“(…) Alla radice dei problemi del Sud stanno la carenza di fiducia tra cittadini e tra cittadini e istituzioni, la scarsa attenzione prestata al rispetto delle norme, l’insufficiente controllo esercitato dagli elettori nei confronti degli amministratori eletti, il debole spirito di cooperazione: è carente quello che viene definito “capitale sociale”. (…) Le politiche regionali – quelle esplicitamente finalizzate a promuovere lo sviluppo delle aree in ritardo con interventi specifici – nell’ultimo decennio si sono volte anche all’obiettivo di innalzare il capitale sociale, attraverso miglioramenti nella trasparenza informativa, nella rendicontazione, nel controllo e nella valutazione dei risultati dell’azione pubblica, ma hanno ottenuto risultati scarsi”.
Questo tema specifico l’abbiamo esaminato nella nostra pagina pubblicata il 28 gennaio scorso che approfondiva il conflitto tra “capitale sociale” e rendimento degli investimenti, i dati che presentiamo in questa pagina sono quelli del saggio “Quali politiche per il Sud? Il ruolo delle politiche nazionali e regionali nell’ultimo decennio” di Luigi Cannari, Marco Magnani e Guido Pellegrini.
In questo lavoro gli autori approfondiscono gli effetti della nuova politica regionale avviata nel 1998 dal ministro del Tesoro dell’epoca, Carlo Azeglio Ciampi, sulle rovine dell’intervento straordinario liquidato nel 1992.
Un’ampia disamina delle variabili economico-sociali collegate allo sviluppo fa emergere quali siano stati gli effetti di tale politica: il divario fra Sud e Centro Nord in termini di Pil pro capite è rimasto sostanzialmente stazionario; la spesa in conto capitale investita nel Sud è stata ingente, comparabile a quella degli anni d’oro dell’intervento straordinario, ma è stata inferiore a quella programmata.
La nuova politica regionale si doveva basare su un nuovo approccio teorico allo sviluppo, in cui si dà grande importanza ai fattori di contesto locale, e sul forte impegno dell’Unione europea volto alla convergenza economica e sociale delle regioni. L’insuccesso della nuova politica regionale è allora un aspetto dell’insuccesso complessivo della politica economica italiana nell’ultimo quindicennio, come emerge chiaramente dalla tabella che riporta l’evoluzione del Pil pro capite delle regioni dal 1996 al 2006.
Volendo esaminare le cause di tale insuccesso, gli autori si chiedono “se non vi siano state delle cause endogene che abbiano accentuato le difficoltà della politica regionale, nonostante i significativi avanzamenti nella costruzione di una cultura della valutazione, della trasparenza e dell’accountability prima largamente insufficiente (indicatori, definizione degli obiettivi, monitoraggio della spesa)”.
È sconfortante rilevare come questi concetti, riferiti alle scelte di politica economica da 15 anni a questa parte, siano uguali a quelle dette oggi dai vari ministri e che ancora pongono la necessità di “una autorità nazionale (il Dps) adeguatamente dotata degli strumenti per far prevalere di volta in volta le ragioni del bene pubblico di tutto il territorio italiano. (…) Nel disinteresse delle politiche generali, immaginare che la politica regionale possa risolvere, da sola, i problemi del Mezzogiorno è a dir poco velleitario”. E – concludono gli autori – “Con i fondi comunitari si può certamente organizzare qualche ora di doposcuola per gli studenti meridionali, ma è difficile immaginare che qualche ora nel pomeriggio possa compensare ciò che non si fa in classe ogni mattina. (…)”.
“Almeno tre questioni – concludono gli autori – appaiono ineludibili: a) il disegno delle politiche generali che tenga conto delle differenze territoriali, utilizzando se necessario strumenti differenti e intervenendo con diversa intensità per conseguire obiettivi agevolmente misurabili; (…)  b) bisogna evitare l’eccesso di localismo e di frammentazione, concentrando gli interventi su un minor numero di ambiti e su aspetti chiave di grande rilevanza; c) nell’ambito della governance multilivello delle politiche di sviluppo, occorre ridurre gli elevati rischi di sovrapposizione di competenze dei vari livelli di governo e dare una più chiara identificazione delle rispettive responsabilità (…)”.
Se queste conclusioni sono vere, c’è da chiedersi come mai ancora oggi il governatore Draghi  ed il suo gruppo di dotti studiosi non riescano a far capire alle istituzioni amministrative del Paese che “A Sud come a Nord lo scopo del nostro agire deve essere garantire la funzione pubblica per eccellenza, quella che definisce una cornice, un clima uniformi nel Paese: scuole, ospedali, uffici pubblici che assicurino standard comuni di servizio da un capo all’altro d’Italia”.
Vox clamantis in deserto…

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