Troppe partecipate, servizi con zero qualità - QdS

Troppe partecipate, servizi con zero qualità

Paola Giordano

Troppe partecipate, servizi con zero qualità

venerdì 04 Gennaio 2019

Istat: nelle aziende pubbliche siciliane il numero medio di dipendenti è tra i più alti d’Italia ma quest’esercito di personale non è utile per migliorare la qualità dell’offerta della Pubblica amministrazione. Il confronto tra Sicilia ed Emilia Romagna è impietoso: qui il clientelismo domina sull’efficienza

PALERMO – Più si è, meglio è? Niente di più errato. Specialmente se si parla di Pubblica amministrazione.
L’assioma “più quantità è sinonimo di maggiore qualità” è infatti sfatato dai numeri: i Comuni siciliani – e soprattutto le società partecipate a essi collegate – pur pullulando di ingenti schiere di dipendenti, non riescono a garantire servizi efficienti ai cittadini.
Basta guardare le recenti classifiche sulla qualità della vita per rendersi conto dell’abisso che separa le nostre province da quelle delle Regioni settentrionali e centrali.
 
Ciascuna delle 182 imprese partecipate da almeno un’Amministrazione locale presenti nell’Isola conta in media ben 109 addetti: il doppio rispetto all’Emilia Romagna, che di imprese a partecipazione pubblica locale ne ha ben 392.
 
A decretare il netto divario esistente tra l’Isola e la cugina centro-settentrionale sono gli ultimi dati – relativi all’anno 2016 – forniti dall’Istat nel report “Le partecipate pubbliche in Italia” pubblicato pochi giorni fa.
 
A parità di condizioni – le due Regioni hanno all’incirca lo stesso numero di Comuni (390 in Sicilia contro i 328 dell’Emilia Romagna) e la stessa popolazione (5 milioni la prima, circa 4,5 milioni la seconda) – si evince infatti che, rispetto al 2015, se in entrambe le Regioni il numero delle imprese a partecipazione pubblica locale ha subito una seppur lieve contrazione, l’Emilia Romagna ha registrato un cospicuo calo degli impiegati in tali imprese: dai 28.444 del 2015 si è passati ai 21.158 del 2016. Circa 7.000 unità in meno, dunque.
 
Lo stesso non può dirsi per la Sicilia che invece ha riportato una riduzione di appena 1.500 unità: da 21.298 a 19.756. Ciò significa che le due Regioni hanno più o meno lo stesso numero di dipendenti ma spalmato su un numero di imprese nettamente diverso: 182 quelle siciliane 392 quelle dell’Emilia Romagna. Il risultato è che se una società partecipata locale isolana ha sul groppone una media di ben 109 dipendenti, quella emiliana-romagnola ne conta appena 54.
 
Avendo a disposizione più personale gli Enti locali isolani dovrebbero offrire servizi se non eccellenti quantomeno accettabili ai propri cittadini ma, ahinoi, non è così: gli standard di vivibilità nelle province siciliane sono diametralmente opposti rispetto a quelle della regione benchmarck e le recenti classifiche sulla qualità della vita stilate da Italia Oggi prima e dal Sole 24 Ore poi, relegando le province siciliane tra le peggiori d’Italia, lo confermano.
 
La “migliore” tra le siciliane, Ragusa, dista ben 26 posizioni dalla “peggiore” provincia dell’Emilia Romagna (Ravenna) secondo Italia Oggi ed altrettanti 26 posti dalla “peggiore” decretata dal noto quotidiano economico di Milano (Ferrara). Senza contare poi che l’Emilia Romagna vanta in entrambe le graduatorie una provincia in top ten: Parma è 6^ secondo Italia Oggi, mentre Bologna è 7^ in base alla classifica del Sole. Le siciliane, invece, raschiano il fondo di entrambe le graduatorie, segnale questo che non fa che confermare quanto ancora lunga nell’Isola sia la strada verso l’efficienza .
 
Anche il segretario di Anci Sicilia, Mario Emanuele Alvano, recentemente interpellato dal nostro quotidiano in merito alla situazione isolana delle partecipate, non ha dubbi: “È chiaro che in Sicilia si sconta un dato generale sulle politiche del personale che riguarda tanto gli Enti locali quanto le partecipate quanto ancora i Consorzi di Comuni: vi è stata una scelta della politica orientata a offrire maggiori opportunità lavorative in questi ambiti. È una scelta che in alcuni casi ha portato a una serie di conseguenze negative di indubbia evidenza. Siamo di fronte a una decisione che ha orientato le politiche pubbliche determinando un dato sproporzionato rispetto ad altre parti d’Italia”.
 
Dopo anni di “vacche grasse”, connotati da assunzioni a valanga, l’entrata in vigore del Dlgs. 118/2011 ha “costretto” le partecipate ad armonizzare il proprio sistema contabile con quello degli Enti locali da cui dipendono. E quindi a chiudere i rubinetti alle assunzioni, visto che i conti faticano a quadrare.
 
La parola d’ordine per le Amministrazioni locali isolane deve dunque essere una sola: razionalizzare le società partecipate. Perché, alla fine della fiera, è il cittadino a pagare lo scotto più alto della mancanza di qualità nei servizi.
 
 

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