Le autonomie del Nord, l'autonomia della Sicilia - QdS

Le autonomie del Nord, l’autonomia della Sicilia

Carlo Alberto Tregua

Le autonomie del Nord, l’autonomia della Sicilia

giovedì 17 Gennaio 2019

Più poteri, più responsabilità

Le Regioni Lombardia, Veneto hanno sottoposto a referendum regionale, ognuno per proprio conto (nell’ottobre del 2017), il punto di vista dei propri cittadini circa la necessità di aumentare l’autonomia di quelle Regioni mediante l’attribuzioni di altre funzioni e delle conseguenti risorse. L’Emilia Romagna ha fatto lo stesso mediante voto in Consiglio regionale.
Il riscontro positivo ottenuto ha fatto sì che ora il Governo debba valutare quali funzioni supplementari attribuire alle tre Regioni.
Salvini, ovviamente, si è schierato dalla parte dei tre Presidenti di Regione, sia perché Lombardia e Veneto sono governate dalla Lega (Fontana e Zaia), sia perché spera in tal modo di conquistare anche il vertice dell’Emilia Romagna.
La tesi della Lega, favorevole al decentramento delle funzioni dallo Stato alle tre Regioni a statuto ordinario, è quella di avvicinare le Istituizioni ai cittadini, che così potrebbero controllare meglio la Cosa pubblica.
 
Ma la vera questione riguarda, come sempre, il denaro e cioè l’aumento dei trasferimenti dallo Stato alla periferia. Con questa determinazione, se fosse approvata, si verrebbe ad intaccare il Fondo di solidarietà nazionale mediante il quale vengono rifornite di numerario le Regioni meno sviluppate che, vedi caso, si trovano tutte al Sud.
Il Fondo citato, ha una funzione perequativa, con due nei: il primo riguarda il ceto politico meridionale che, approfittando di questi trasferimenti che arrivano dal centro, non adottano quelle riforme indispensabili per fare muovere la loro economia, creando ricchezza e occupazione; il secondo riguarda il Governo centrale che non fa nulla in termini di investimenti per immettere nel motore della crescita meridionale (spento) il necessario carburante in termini di risorse finanziarie.
Tutte le leggi di Bilancio degli ultimi venticinque anni, quelli della Seconda Repubblica, non hanno mai dato un euro in più alle Regioni meridionali in rapporto al territorio e agli abitanti, cioè circa un terzo.
Ora, se lo Stato avesse un vero disegno di equiparazione fra Nord e Sud, dovrebbe dare al Sud ben più di un terzo di risorse per investimenti.
 
Dunque, le tre Regioni del Nord chiedono più autonomia, quella stessa autonomia che ha fatto decollare il Friuli Venezia Giulia, con il suo Statuto speciale, nonché le due ricche province di Bolzano e Trento, cui lo Stato dà risorse per abitante dieci volte superiori a quelle che dà alla Sicilia.
E veniamo alla nostra Isola, la quale è dotata di un proprio Statuto speciale, inserito in Costituzione prima ancora che questa entrasse in vigore e senza cambiare una virgola al testo proposto.
Lo Statuto autonomo contiene luci ed ombre, ma certamente è stato uno strumento mai utilizzato dai diciassette governi che si sono succeduti dal 1948 ad oggi e cioè in 70 anni.
La classe politica ha perso qualità col passare dei decenni ma ha avuto in comune un dato: è stata sempre subordinata ai governi centrali e i siciliani che hanno avuto incarichi istituzionali di primo livello, quasi sempre non hanno subordinato i propri interessi a quelli dei propri conterranei.
 
Tornando ai nostri giorni, il ridicolo balletto attorno alle ex Province, poi trasformate, alcune in Liberi Consorzi ed altre in Città metropolitane, ma senza risorse per far fronte ai loro compiti (manutenzione di scuole e strade) e la legge elettorale che fa vincere un candidato ma non gli dà la relativa maggioranza, sono due esempi di come non abbia funzionato il ceto politico.
Il ceto politico è altresì colpevole di aver gestito in maniera pedestre l’economia, seguendo la pessima regola di distribuire risorse con un assistenzialismo sfrenato, sottraendole al vero motore dello sviluppo, che sono gli investimenti in infrastrutture e a sostegno del sistema produttivo e dei servizi.
È vero, in Sicilia ha avuto un peso negativo enorme la Mafia, che continua ad essere infilitrata nei gangli economici. Non averla debellata è anche un disdoro del ceto politico. Lo dimostrano i numerosi casi di collusione fra esponenti di partiti e criminalità organizzata.
C’è all’orizzonte una svolta? Non la vediamo perché siamo ciechi o perché non c’è. Se si dà un assegno a tutti è come se non si desse a nessuno perché tutto rimane come prima.

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