Rischio naturale: i Comuni sfidano la sorte - QdS

Rischio naturale: i Comuni sfidano la sorte

Rosario Battiato

Rischio naturale: i Comuni sfidano la sorte

martedì 22 Gennaio 2019

Istat e Ispra: in Sicilia pericolo sismico, dissesto idrogeologico e abusivismo dilagante. Senza adeguati investimenti per la sicurezza le prossime tragedie saranno inevitabili. Nell’Isola tante bombe a orologeria pronte a esplodere. Ma la prevenzione non è di casa

PALERMO – Il rischio naturale non lascia respiro. A fronte di case vecchie – sette su dieci costruite prima degli anni Ottanta – e di edifici residenziali in pessimo o mediocre stato di conservazione – circa 340 mila su un totale di 1,4 milioni – i comuni capoluogo dell’Isola, e in particolar modo le aree metropolitane sono al centro del rischio per patrimonio vetusto e per numero di abitanti. Lo dicono gli ultimi dati Istat e Ispra, che sono stati incrociati per fornire un quadro dettagliato del rischio naturale in rapporto al territorio.
 
RISCHIO SISMICO – A livello regionale ci sono 356 comuni (su 390) che rientrano nelle due fasce più elevate del rischio sismico. Andando in dettaglio, secondo l’ultima classificazione del Dipartimento della Protezione civile, si tratta di 27 comuni nella zona più pericolosa, cioè la 1, dove “possono verificarsi fortissimi terremoti”, e altri 329 nella zona 2, dove possono “verificarsi forti terremoti”. In questa fascia di rischio rientrano 4,5 milioni di siciliani (355 mila solo nella prima).
I comuni capoluogo, che ospitano la maggior parte della popolazione isolana, non fanno eccezione. Escludendo Caltanissetta, che rientra nella fascia 4, cioè la “meno pericolosa: la probabilità che capiti un terremoto è molto bassa”, tutte gli altri ne sono pienamente coinvolte. Altri sette, infatti, rientrano nel rischio 2, con Messina, già tragica protagonista del terribile sisma del 1908, che vale addirittura l’area 1.
Oltre i comuni capoluogo, anche i medio piccoli non possono dirsi esenti dal rischio. Il terremoto di Santo Stefano, avvenuto nella zona etnea e che ha visto come conseguenza 392 edifici inagibili e oltre mille sfollati, non è stato l’unico evento recente nell’area: nel 2002 un altro sisma aveva coinvolto il comune di Santa Venerina – lambito anche dal recente terremoto – mentre nel 1984 nel mirino era stato il territorio di Fleri, località nota alle cronache recenti per il coinvolgimento nell’evento di giorno 26 dicembre.
 
 
DISSESTO – In tutta l’Isola ci sono 360 Comuni con aree interessate da pericolosità da frana (elevata o molto elevata) o idraulica (elevata o molto elevata). Uno spazio che coinvolge 120 mila persone che risiedono nelle prime e 20 mila nelle seconde.
Tra i comuni capoluogo, i numeri più elevati arrivano da Palermo, dove si trovano più di 6 mila residenti in aree a rischio da frana (tutte le pericolosità) e circa 5 mila per alluvione. Segue Catania, con 3.300 residenti a rischio, considerando alluvione e frane, e poi Agrigento che sfiora i 3 mila per l’alluvione e supera di poco i 2 mila per la frana.
 
CASE VECCHIE – Secondo l’ultimo aggiornamento Istat, il 72% degli alloggi siciliani è stato costruito prima del 1980, il 25% tra il 1981 e il 2005 e soltanto l’1,95% dopo il 2005. Abitazioni vecchie, nella maggior parte dei casi, e anche fatiscenti. Il dato relativo alla qualità strutturale degli edifici residenziali, complessivamente 1,4 milioni in tutta la Sicilia, registra la presenza di 374.677 edifici in stato pessimo o mediocre, cioè quasi il 30% del totale.
Numeri che nei grandi centri diventano ancora più sostanziosi: nel Comune di Catania sono registrati poco meno di 30 mila edifici residenziali, tra questi un terzo rientra nella casistica di pessima o mediocre conservazione. Proporzioni non dissimili si trovano negli altri due centri metropolitani dell’Isola, cioè Palermo e Messina.
 
ABUSIVISMO FUORI CONTROLLO – Il Sistema informativo abusivismo del Dipartimento Urbanistica dell’assessorato Territorio e Ambiente, tra l’ottobre del 2009 e l’ultimo mese del 2018, cioè nell’arco di esistenza del Siab che si basa sui dati comunicati dai comuni, ha registrato complessivamente 26.674 abusi per 5,8 milioni di metri cubi di volumetria abusiva. Il quadro per provincia vede l’area etnea in prima linea, con 6 mila abusi e più 1,3 milioni di metri cubi abusivi, trascinata dalla prestazione del comune capoluogo che, con 1.487 abusi registrati e 150 mila metri cubi di volume, da solo vale il 5,5% del totale regionale e un quarto del totale provinciale. Seguono Palermo e Messina, che hanno ottenuto, rispettivamente, 4.927 e 4.827 abusi, per una volumetria illegale che vale 1,1 milioni nella provincia del capoluogo regionale e circa la metà nell’area peloritana (681.508 metri cubi).
 
COSTRUIRE E NON RIQUALIFICARE – I numeri dicono che il territorio isolano è gravemente compromesso dal rischio naturale e che il patrimonio edilizio non è all’altezza della sfida. Eppure, a fronte del 30% delle abitazioni inutilizzate in tutta l’Isola, si continua a costruire, spesso abusivamente, accentuando il rischio naturale e dimenticando che invece si potrebbe investire sulla riqualificazione energetica e sulla messa in sicurezza – ci sono gli sgravi dell’ecobonus e del sismabonus – che vedono gli isolani ancora molto pigri. L’Enea, all’interno del rapporto sull’Efficienza energetica, ha messo in evidenza che per l’ecobonus 2017 gli isolani hanno contribuito con appena il 2% del totale nazionale, cioè 80 milioni di euro per 11 mila interventi su 3,7 miliardi e 420 mila interventi in tutta Italia. Anche dal sisma potrebbero piovere investimenti per l’edilizia: secondo una stima dell’Ance, il “costo di intervento di miglioramento sismico” per le abitazioni nelle aree di prima e seconda fascia di rischio ammonterebbe in Sicilia a circa 14 miliardi di euro.
 

 
Abbiamo intervistato il presidente dell’Ordine regionale dei geologi, Giuseppe Collura
 
PALERMO – Giuseppe Collura è presidente dell’Ordine regionale dei geologici. Con lui abbiamo analizzato la situazione siciliana e fatto un punto sugli scenari futuri.
 
Gli ultimi dati dell’Ispra hanno confermato la fragilità del territorio siciliano. A fronte di questa pericolosità conclamata, come sta la prevenzione in Sicilia?
“Sul piano della prevenzione bisognerebbe fare riferimento da una parte alla necessità di interventi di carattere strutturale e non strutturale che abbiano come presupposto di base la conoscenza del territorio nei suoi aspetti di carattere geologico e geomorfologico. Gli ultimi tragici eventi dello scorso anno hanno evidenziato, ancora una volta, la fragilità di un sistema di gestione e pianificazione territoriale ormai obsoleto e non più efficace nella prevenzione e nella gestione del dissesto idrogeologico. I cambiamenti climatici, unitamente alle caratteristiche geomorfologiche, impongono nuove e aggiornate strategie di pianificazione, soprattutto in territori geologicamente fragili e spesso segnati da abusivismo edilizio, ove l’incuria e l’assenza di manutenzione dei corsi d’acqua e l’errato dimensionamento dei sistemi di smaltimento delle acque amplificano gli effetti del dissesto. In tali aree è necessaria la decostruzione o delocalizzazione di tutte quelle strutture che sono state costruite in siti che interferiscono con gli elementi naturali mettendo in pericolo la vita delle persone che vi abitano”.
 
È stato compiuto qualche passo in avanti nel sistema di prevenzione?
“Il fondo di prevenzione e gestione del rischio idrogeologico e idraulico, approvato dalla recente Legge finanziaria (art.40 legge n.8/2018), ha finalmente introdotto un piccolo spiraglio per l’impiego all’interno degli Enti locali di professionalità deputate alla valutazione dei rischi geologici, fornendo le adeguate indicazioni per le procedure di contrasto e mitigazione da porre in essere. L’Ordine regionale dei Geologi di Sicilia, che ha partecipato attivamente alla sottoscrizione del documento e alla sua ampia condivisione con tutte le forze politiche, chiede pertanto al Governo regionale di supportare tale provvedimento legislativo dell’adeguata dotazione finanziaria, affinché i comuni della Regione Siciliana possano realmente dotarsi delle competenze necessarie per contrastare il dissesto idrogeologico secondo un nuovo approccio previsionale e sostenibile, evitando finalmente il verificarsi di tragici eventi di cui la popolazione ne paga il prezzo più alto”.

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