I bravi siciliani cacciati dalla Sicilia - QdS

I bravi siciliani cacciati dalla Sicilia

Dario Raffaele Antonino Lo Re e Desiree Miranda

I bravi siciliani cacciati dalla Sicilia

mercoledì 30 Gennaio 2019

Fondazione Migrantes: negli ultimi due anni quasi 22.000 siciliani si sono trasferiti all’estero, oggi sono già 755.947 (record italiano) i nostri conterranei residenti tra Argentina, Germania e altri Paesi. Via per politiche del lavoro inadeguate, burocrazia asfissiante, criminalità, scuola e Uni poco competitive

PALERMO – Un numero considerevole, che fa riflettere sull’esodo di tanti siciliani che hanno dovuto o voluto lasciare la propria terra per tentare la fortuna altrove. Stiamo parlando del numero degli iscritti all’anagrafe dell’Aire, l’Associazione italiana residenti all’estero: 755.947 isolani. Cifre che mettono la Sicilia al primo posto tra tutte le regioni italiane in questa particolare classifica, rappresentando così il 14,8% del totale nazionale. Staccate, e non di poco, un’altra regione del Sud Italia, la Campania, con 495.890 iscritti (9,7%) e la Lombardia con 473.022 (9,2%). Tanti i motivi che nel corso degli anni hanno portato giovani e meno giovani a trasferirsi soprattutto all’estero per avere prospettive migliori per il proprio futuro. Una fuga continua che solo nell’ultimo anno ha avuto una leggera diminuzione rispetto al 2017. Un’“emorragia” che coinvolge tutte le fasce d’età.
 
Una fuga continua che solo nell’ultimo anno ha avuto una leggera diminuzione rispetto al 2017. Un’“emorragia” che coinvolge tutte le fasce d’età. A partire dai giovanissimi costretti a lasciare l’isola per seguire le proprie famiglie che decidono di partire per la mancanza di lavoro. Senza dimenticare gli universitari, che in molti casi preferiscono gli atenei esteri per ampliare la propria formazione e conoscenza in vista di quello che sarà il futuro lavorativo; e i giovani che rientrano nella fascia tra i 25 e i 35 anni che, avendo un livello d’istruzione medio-alto, con diploma e laurea, decidono di lasciare la Sicilia per iniziare un nuovo percorso di vita in territori che offrono maggiori chance di lavoro.
 
 
La meta preferita e più popolata dai siciliani nel corso degli anni resta sempre la Germania. Infatti, secondo il rapporto 2018 della Fondazione Migrantes, sono 236.333 gli isolani iscritti all’Aire che vivono nella nazione teutonica. A seguire troviamo il Belgio (98.111) e una sudamericana, l’Argentina (90.852). Giù dal podio ci sono la Svizzera (72.586), la Francia (61.597), gli Stati Uniti (49.737) e il Regno Unito (30.675). Numeri non molto inferiori sono quelli che riguardano Australia e Venezuela, stati che contano sulla presenza di, rispettivamente, 24.847 e 20.561 siciliani.
 
Restringendo il focus agli ultimi due anni è possibile notare come la Sicilia si trovi stabilmente tra le prime regioni di partenza del panorama nazionale. Nel 2018 al primo posto per numero di emigrati all’estero c’è la Lombardia (21.980) seguita, a distanza, dall’Emilia-Romagna (12.912), dal Veneto (11.132), dalla Sicilia (10.649) e dalla Puglia (8.816). Di questi oltre 10 mila siciliani che hanno deciso di abbandonare l’isola, 4.778 sono femmine e 5.871 sono maschi rappresentando in percentuale l’8,3% del totale in Italia. Per quel che riguarda il 2017, la Lombardia si trova sempre in prima posizione (22.981), poi il Veneto (11.611) e infine la Sicilia che chiude il podio con 11.501 persone partite verso l’estero, di cui 5.143 di genere femminile e 6.358 di sesso maschile. Dunque, tra il 2017 e il 2018 si è registrata una leggere decrescita nelle partenze verso l’estero del -7,4%.
 
Ma oltre al problema occupazione, che negli anni ha sempre contraddistinto in negativo la Sicilia, quali motivi hanno spinto la gente ad abbandonare la propria terra di origine? La mancanza di infrastrutture adeguate, di investimenti, di mezzi pubblici all’altezza delle città del Nord Italia e una macchina burocratica sempre più lenta e farraginosa, rientrano tra le cause più rilevanti che hanno “costretto” i siciliani ad andare via. Anche per questo, e non solo, che molte imprese non sono riuscite ad imporsi e a creare un notevole numero posti di lavoro.
 
Da non dimenticare la mafia, un fenomeno che ha inciso parecchio su questo processo di emigrazione verso l’estero, ma l’auspicio è che anche attraverso una gestione politica diversa dal passato si possa riuscire ad invertire questa tendenza.
 
Antonino Lo Re
 

 
Alfio Torrisi, Enrico Garozzo, Giuseppe De Michele: cervelli in fuga a Praga, Durban, Bruxelles
 
CATANIA – Alfio, Enrico e Giuseppe, tre esempi di giovani e brillanti laureati che stanno trovando successo all’estero. Tre esempi di cervelli in fuga che arricchiscono altre economie.
 
Alfio Torrisi si è laureato in Fisica all’Università di Catania. “Sono emigrato nel 2014, iniziando il mio dottorato in optoelettronica all’Università tecnica militare di Varsavia. Dopo aver conseguito il dottorato non mi sono più fermato: prima un postdoc a Londra e adesso un secondo a Praga.
Ho provato a rimanere in Sicilia, ma la scarsa offerta di lavoro e i pochi finanziamenti per la ricerca italiana mi hanno orientato verso la via dell’emigrazione. Di necessità virtù”.
“Sicuramente la situazione cui verte la Sicilia e soprattutto il meridione mi ha in qualche modo costretto ad emigrare. – continua Alfio – Ciò che posso rimproverare alla mia Terra è la mancanza di meritocrazia unita alla scarsa forza di volontà nel volersi far ascoltare seriamente dalle istituzioni”.
 
Diversa la storia di Enrico Garozzo, laurea triennale in Lingue con 110 e lode (a Catania) e successiva laurea magistrale in Insegnamento dell’italiano a stranieri, conseguita a Perugia anch’essa con 110 e lode. Oggi insegna lingua italiana alla Società Dante Alighieri di Durban, in Repubblica Sudafricana.
Per lui la scelta di emigrare in Sudafrica “è stata più un mio desiderio che una costrizione, – ci dice – ormai abito fuori dalla Sicilia da cinque anni in maniera definitiva, ma in quel periodo andare via era stato più una costrizione che una libera scelta”.
E oggi si sente sicuramente più apprezzato e appagato. “La nostra Isola – continua Enrico – non dà delle opportunità che permettano di seguire le proprie aspirazioni, non gratifica la professionalità e ti costringe ad arrangiarti a sopravvivere, rimproverandoti se non sei soddisfatto di quello che fai”.
 
Giuseppe De Michele, invece, è emigrato in Belgio a Bruxelles, nel 2017. Dopo una laurea in Informatica conseguita all’università di Catania, oggi è impiegato di Everis Spagna e lavora da consulente alla Commissione europea come sviluppatore software.
“All’estero mi sento decisamente più apprezzato che in Sicilia. – ci dice Giuseppe – Avevo provato a cercare lavoro in Sicilia e nella vicina Calabria, sia prima di trasferirmi a Milano che qualche anno dopo, per riavvicinarmi, ma ho trovato solo porte chiuse o proposte di collaborazioni saltuarie a partita IVA”. Riguardo i sentimenti derivanti dalla sua scelta di vita aggiunge: “Più che sentirmi tradito sono dispiaciuto, la Sicilia è il posto in cui sono cresciuto e lo Stato italiano e l’Università di Catania hanno investito su di me per poi lasciarmi andare all’estero; quello che mi dispiace è non essere riuscito a dimostrarmi utile alla mia terra. Sinceramente non riesco a capire come mai in Sicilia, in cui sembrerebbero esserci tutte le condizioni per creare lavoro sia per le persone locali e, perché no, per attirare talenti dal resto d’Italia, ci sia una forma di immobilismo, e quel poco di buono che esiste, spesso, improvvisamente, cessa di esistere (penso al tragico recente epilogo di Mosaicoon)”.
 
Dario Raffaele
 

 
Francesco Basile, Rettore dell’Università di Catania
UniCt vuole tornare un Ateneo attrattivo
 
CATANIA – Parte in causa e con ruolo attivo nel tentare di “trattenere” i giovani siciliani nel territorio siciliano è di certo l’Università.
 
Francesco Basile, il rettore dell’Università degli studi di Catania, lo ha ribadito più volte e ha tracciato l’obiettivo nel Piano strategico 2019-21: “L’Università di Catania vuol tornare ad essere un Ateneo attrattivo sostenibile e socialmente responsabile, soprattutto verso il proprio territorio”.
 
Per far sì che ciò possa avvenire occorre migliorare l’attrattività dell’offerta formativa, ma anche i servizi per i propri studenti e per accogliere al meglio studenti provenienti dall’estero. “Serve aumentare i corsi di laurea in inglese, valorizzare il nostro patrimonio, incrementare il rapporto con le imprese perché oltre al calo fisiologico di iscritti in tutta Italia, molte famiglie, in particolar modo quelle di altre province, preferiscono iscrivere i propri figli al Nord e non a Catania”, afferma il rettore.
 
Un problema che si nota soprattutto nel passaggio tra i corsi di laurea triennali e le magistrali, ma non solo. Ciò che potrebbe contribuire ad aumentare l’attrattività di Catania sono i servizi, ancora pochi e precari.
 
“In questo campo abbiamo varato la ‘Carta dello Studente’, che consentirà di fruire di sconti in diversi operatori commerciali oltre alla mobilità gratuita sui servizi offerti da Amt e Fce”, dice il rettore. “Nei prossimi mesi – aggiunge – saranno disponibili anche le fontanelle nei vari dipartimenti che consentiranno allo studente di prelevare fino a 1,5 litri di acqua microfiltrata al giorno”.
 
Per riuscire nell’impresa il rettore Francesco Basile chiede l’aiuto di tutti, dai direttori di dipartimento ai presidenti di corso di laurea, dai singoli docenti ai ricercatori, ai dirigenti e personale. “Ciascuno sia diligente di fronte ai propri adempimenti”, conclude.
 
 
Desirée Miranda

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