Reddito di cittadinanza: Brambilla (Lega), "un fallimento" - QdS

Reddito di cittadinanza: Brambilla (Lega), “un fallimento”

redazione

Reddito di cittadinanza: Brambilla (Lega), “un fallimento”

martedì 05 Febbraio 2019

Secondo un rapporto del Centro studi dell'ex sottosegretario del Carroccio, con l'assunzione dei navigator bypassa le competenze regionali entrando in conflitto con l'articolo 117 della Costituzione. Inoltre i beneficiari potrebbero utilizzare in modo opportunistico le risorse disponibili. L'incognita del sostegno agli immigrati
 

Il Reddito di cittadinanza rischia di rivelarsi "un fallimento".
 
E a dirlo non sono le opposizioni ma l’ex sottosegretario della Lega Nord Alberto Brambilla il quale, in una nota dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e le entrate a cura del Centro Studi Itinerari previdenziali del quale è presidente, afferma tra l’altro che il dispositivo di legge rischia di non cogliere sia l’obiettivo di contrastare la povertà assoluta in Italia, sia quello di attivare un sistema funzionante di inserimento/reinserimento lavorativo.
 
Nel documento, firmato da Brambilla con Natale Forlani, Gianni Geroldi e Claudio Negro, dopo un’approfondita analisi del testo della legge, si sottolinea innanzitutto la sproporzione tra costi effettivi e dotazione finanziaria prevista, ma anche molte altre criticità.
 
La norma sul Reddito di cittadinanza "opera significative, e non condivisibili, innovazioni" scrive Brambilla, "amplia la platea degli attori preposti a dirigere gli interventi in ambito nazionale, con due piattaforme distinte finalizzate a monitorare gli interventi di politica del lavoro e di inclusione, ivi compresi i comportamenti degli operatori dei servizi e l’assunzione dei cosiddetti navigator da parte di Anpal nazionale: prassi che, bypassando le competenze regionali sulla materia, prefigurano altrettanti motivi di conflitto interpretativo sull’art. 117 della Costituzione".
 
Le criticità sono anche, per Brambilla, lo "sdoppiamento tra le attività di selezione e approvazione delle domande ed erogazione delle sanzioni, che rimangono affidate all’Inps, e le attività di raccolta delle domande e di erogazione dei benefici che viene trasferita alle Poste Italiane. Con un’ulteriore diversificazione tra le modalità di erogazione delle misure di politica attiva del lavoro e quelle destinate all’inclusione sociale (con due distinte sottoscrizioni: una per il ‘patto del lavoro’ e un’altra per il ‘patto di inclusione’".
 
Secondo lo studio sarà difficile rispettare la data di aprile in cui il governo ha affermato che saranno versati i primi "redditi" perché tutti gli interventi previsti "richiederanno inevitabilmente, un rifacimento delle procedure e dei software, il rilascio dei pareri dell’Autorità garante della privacy, circolari interpretative da elaborare con il concorso di più amministrazioni".
 
Tutti atti "che richiedono articolate intese nell’ambito della conferenza Stato-Regioni, coinvolgimento degli enti locali per concordare i nuovi indirizzi e le modalità di intervento nei territori, bandi e concorsi per strutturare le piattaforme informatiche e per assumere il personale".
 
"Adempimenti talmente complessi – si legge nello studio – che escludono qualsiasi possibilità di avviare organicamente il programma del Reddito di cittadinanza nelle scadenze proclamate dal governo".
 
Un’altra criticità è "la scelta di differenziare gli importi per quelle che vengono definite ‘pensioni di cittadinanza’ e che tali non sono perché si tratta di mere e temporanee integrazioni al reddito familiare".
 
Questa norma, secondo lo studio, determina, tra l’altro, "un’incomprensibile discriminazione di trattamento tra nuclei familiari, soprattutto se si considera l’ulteriore differenza di entità rovesciata per il contributo destinato ai residenti in case d’affitto, 150 euro per gli ultra 67enni contro 280 euro per i beneficiari in età di lavoro".
 
"Sono poco più di 1,3 milioni i nuclei familiari potenzialmente beneficiari del Reddito di cittadinanza, equivalenti a poco meno di cinque milioni di persone, con un notevole incremento della platea rispetto ai 2,8 milioni di persone che erano state stimate con la messa a regime del Reddito di inserimento".
 
Si tratta di famiglie con un reddito Isee inferiore ai 9.360 euro.
 
"Agli aventi diritto verrà erogato un sussidio destinato a integrare il reddito fino a seimila euro annui nel caso di una persona singola (incrementati a 7.560 euro per i nuclei familiari composti esclusivamente da over 67), che possono aumentare in base ai carichi familiari, e beneficiare di un ulteriore importo massimo di 3.360 euro per i nuclei residenti in case in affitto".
 
Per quanto riguarda gli immigrati in condizioni di povertà assoluta, ossia 1,6 milioni di persone secondo l’Istat, oltre il 40% dei potenziali beneficiari nel nord Italia, questi sono ricompresi nella stima generale.
 
"Ma il decreto – scrive Brambilla – cerca in modo surrettizio e a forte rischio di illegittimità, di ridurne l’incidenza introducendo il vincolo della residenza in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, per tutti i richiedenti".
 
Una trascuratezza che, secondo l’economista, "potrebbe avere conseguenze finanziarie non marginali per la gestione dell’intervento, poiché, qualora la magistratura sulla base di sentenze già consolidate della Corte Costituzionale provvedesse a estendere i benefici a tutti gli immigrati regolarmente residenti le risorse disponibili stimate in sede di decretazione potrebbero rivelarsi insufficienti, con la conseguente necessità di ridefinire la platea dei percettori o l’ammontare medio dei benefici".
 

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