Alla Regione vince il partito del non fare - QdS

Alla Regione vince il partito del non fare

Carlo Alberto Tregua

Alla Regione vince il partito del non fare

martedì 19 Febbraio 2019

Una grande orchestra stonata

Le due istituzioni di vertice – Assemblea regionale (attività istituzionale e ispettiva) e la Giunta di Governo (attività esecutiva) – della Sicilia sono imballate, come un motore che gira ma non fa muovere l’auto.
Il non fare è il peggio che possa capitare alle istituzioni, perché si trasmette alla sottostante burocrazia, che già di per sé è portata a bighellonare. Quando si inceppano istituzione e burocrazia, una Comunità politica, sociale ed economica va verso il disastro.
L’importante è fare, ma non basta: occorre fare bene, cioè produrre i servizi pubblici in quantità adeguata ai bisogni dei cittadini adoperando la minore spesa possibile. Si tratta di un rapporto vecchio come il cucco, ma che il ceto politico e quello burocratico ignorano quasi sempre.
Per esempio, non viene fatto il rapporto fra il servizio e la spesa, misurando i costi del personale, degli affitti e di tutte quelle altre uscite necessarie per tenere aperto un dipartimento, una direzione, un ufficio.
 
Ciò accade perché la Regione non ha un Piano aziendale, attenzione, non un Piano industriale, che è proprio delle imprese.
Ricordiamo che il Piano aziendale è formato di quattro parti: programmazione, organizzazione, esecuzione e controllo. Quest’ultima è particolarmente importante, perché deve paragonare gli obiettivi fissati con i risultati conseguiti e in quali tempi essi siano realizzati.
Ma sappiamo benissimo che la Regione non possiede un Piano aziendale, che le cosiddette Piante organiche sono redatte non in base ai bisogni ma a misteriose necessità, spesso di tipo clientelare, che le spese vengono effettuate non in base ai prezzi più bassi di mercato ma con affidamenti diretti (ora fino a 150 mila euro) e tante altre amenità che solo una Pubblica amministrazione non professionale, come quella siciliana, possiede.
La disfunzione organizzativa e l’assenza di un Piano aziendale portano al non fare, anche perché la mentalità diffusa si traduce nella frase: “Chi non fa non sbaglia”. Poi, va sempre ricordato una sorta di brocardo: “Lo stipendio è un vitalizio, il lavoro si paga a parte”.
 
Non è che nella Regione manchino professionalità e competenze di dirigenti, funzionari e dipendenti di alta moralità. Ma manca il quadro all’interno del quale si dovrebbero muovere; un quadro ove sono indicate tutte le modalità di funzionamento, i tempi e le finalità. Cosicché ognuno fa quello che vuole.
La Regione dovrebbe funzionare come un’orchestra, in cui il direttore capace avesse orecchio fino nel sentire le stonature e nell’avvertire quelli che non vanno a tempo. Solo un complesso affiatato può far venire fuori il suo prodotto, che deve essere una musica di qualità.
Può onestamente paragonarsi, la Regione siciliana, con i suoi circa 90 mila dipendenti (sanità e partecipate comprese) a un’orchestra intonata? Può paragonarsi il presidente della Regione a un direttore capace di far funzionare l’ensamble in armonia? Purtroppo a noi non sembra. Cosicché, ognuno fa quello che vuole, vi è totale disarmonia fra Dipartimenti e servizi, la musica è stonata e offende le orecchie dei siciliani.
 
Gli stessi, però, restano inermi e inerti. Non protestano sui social e sui quotidiani, si lamentano in famiglia o al bar e non capiscono che così vengono meno al loro ruolo di cittadini.
Peggio ancora, la Classe dirigente gira la testa dall’altro lato, perché ognuno ha interessi particolari che spera di soddisfare con la cultura del favore piuttosto che con quella del diritto.
Il massimo della disarmonia c’è nell’Assemblea regionale. Ognuno dei settanta deputati è un piccolo centro di potere. Ve ne sono bravi e coscienziosi, però non riescono a far funzionare l’insieme, perché ognuno tira il lenzuolo dal proprio lato, ha fame da soddisfare e cerca accordi sui propri appetiti.
Insomma, l’Ars si è trasformata in una sorta di mercato delle pulci ove si assiste a baratti e scambi di ogni tipo ma non all’assolvimento delle sue finalità: fare buone leggi di riforma, in tempi brevi, ed esercitare attività ispettiva sull’azione di presidente e Giunta di Governo.
Il non fare è un disastro. Bisogna ribaltare questo modo di succhiare le risorse pubbliche a perdere in dispregio del dovere civico.

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