Giovani donne meridionali, gap col resto d'Europa - QdS

Giovani donne meridionali, gap col resto d’Europa

Giovani donne meridionali, gap col resto d’Europa

venerdì 08 Marzo 2019

In occasione dell’8 marzo la Svimez ha anticipato alcuni aggiornamenti di una ricerca sull’universo femminile. Tasso di occupazione più basso che nelle regioni povere della Guaiana francese, dell’Estremadura, e Melilla in Marocco. Le giovani donne meridionali subiscono una triplice ingiustizia a causa della disuguaglianza sociale, sotto forma di divario territoriale, generazionale e di genere

ROMA – “Affrontare le questioni del Mezzogiorno al femminile consente di cogliere uno dei nodi centrali rimasti irrisolti nel nostro Paese che, in particolare nella condizione della donna, continua a marcare divari particolarmente sensibili con i principali partner europei”.
 
In occasione dell’8 marzo, la Svimez anticipa alcuni aggiornamenti dei dati di una ricerca sulla condizione delle donne nel Sud, dalla quale emerge con chiarezza come la questione femminile sia una delle facce più evidenti e problematiche della più generale Questione meridionale.
 
Secondo la Svimez, “i principali indicatori evidenziano come la situazione di svantaggio italiana sia in larga parte legata ai valori delle regioni meridionali”. Qualche parallelo con le regioni d’Europa può essere utile a mettere meglio a fuoco il fenomeno: il tasso d’occupazione femminile tra 15 e 64 anni, in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria, è addirittura più basso della Guaiana francese, dell’Estremadura spagnola, della Tessaglia e della Macedonia in Grecia, e perfino dell’enclave spagnola di Melilla in Marocco.
 
Il paradosso delle giovani donne meridionali
 
“Le giovani donne meridionali subiscono una triplice ingiustizia a causa della disuguaglianza sociale, sotto forma di divario territoriale, generazionale e di genere. Queste ultime – si legge nella ricerca Svimez – vivono il paradosso di essere le punte più avanzate della “modernizzazione” del Sud (persino sul piano civile) – perché hanno investito in un percorso di formazione e di conoscenza che le rende depositarie di quel “capitale umano” che serve per competere nel mondo di oggi – e insieme le vittime designate di una società più immobile che altrove, e dunque più ingiusta, che finisce per sottoutilizzare, rendere marginali o “espellere” le sue energie migliori”.
 
Al Sud il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa
 
Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è tra i più bassi in Europa. Il divario delle Regioni del Sud rispetto alla media europea, già elevatissimo nel 2001 (circa 25 punti percentuali), si è ulteriormente ampliato arrivando sopra i 30 punti, nel 2017. “Confrontando il tasso di occupazione delle 19 regioni e le due province autonome italiane con il resto delle 276 regioni europee (Nuts2) emerge un quadro alquanto problematico. Il confronto – sottolinea la Svimez – conferma la peculiarità della situazione italiana: solo la provincia di Bolzano si colloca nella prima metà delle regioni europee, con un tasso di occupazione femminile pari a 71,5%, alla posizione 92 nella graduatoria. Seguono Emilia Romagna (153) e Valle d’Aosta (154) e la provincia di Trento (175), con tassi di occupazione femminili intorno al 65%, in linea con la media europea dei 28 Paesi membri che è pari al 66,3%. Delle rimanenti regioni del Centro-Nord, Toscana, Piemonte e Lombardia si collocano intorno alla duecentesima posizione, mentre le altre su posizioni più arretrate con il Lazio ultimo in 236 posizione con un tasso del 55,4%”.
 
Le regioni del Mezzogiorno sono sensibilmente distanziate da quelle del Centro- Nord e si collocano tutte nelle ultime posizioni, con Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime quattro e valori del tasso di occupazione intorno al 30%, di circa 35 punti inferiori della media europea”.
 
Tra le regioni meridionali le posizioni meno sfavorevoli sono quelle Abruzzo (256) con un tasso di occupazione pari al 47,6%, Molise (260) e Sardegna (261) con tassi di occupazione intorno al 45%”.
 
Meno donne al lavoro al Sud e con mansioni dequalificate Il bilancio meno drammatico in termini quantitativi rispetto a quello maschile dell’occupazione negli anni duemila, è, peraltro, decisamente negativo in termini qualitativi per gli effetti indotti sulla struttura dell’occupazione, in cui persistono fenomeni di discriminazione nelle tipologie di lavoro, segregazione professionale, oltre a una ricomposizione a favore di età più anziane quale conseguenza delle riforme pensionistiche. L’Italia, in particolare negli anni della crisi, si distingue per essere uno dei pochi Paesi ad aver contratto il peso del lavoro qualificato, a favore di un incremento del lavoro meno qualificato, soprattutto nei servizi alla persona e domestici.
 
Nel 2018 sono state 3 milioni 663 mila le donne che hanno svolto lavori qualificati, di queste, però, appena 851 mila sono meridionali, meno di un quarto del totale. La quota di donne occupate in posizioni cognitive altamente specializzate (inclusi i manager) sale tra il 2001 ed il 2008 dal 34,1 al 44,1% per poi riscendere al 38,1% nel 2014. Dinamiche simili si rilevano nelle due circoscrizioni, con perdite più consistenti nelle professioni più qualificate nel Mezzogiorno. Ad oggi, il confronto con gli altri paesi europei evidenzia un peso per le donne italiane occupate sensibilmente più basso nelle professioni altamente qualificate rispetto alla media Europea (con un leggero vantaggio solo su Spagna e Grecia). Per converso più alta è la quota delle professioni elementari. In definitiva: meno donne che lavorano al Sud (in totale 2 milioni 283 mila su 9.760 mila in tutt’Italia) ma, soprattutto, svolgono mansioni prevalentemente dequalificate.

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