La prima è che scuola, Università e formazione regionale non producono competenze, vale a dire non insegnano ai propri allievi il saper fare, per cui si formano decine di migliaia di giovani carichi di attestati pari a carta straccia. Una seconda causa riguarda l’incapacità, da parte della pubblica amministrazione regionale, di avere un’efficace organizzazione che consenta a domanda e offerta di incrociarsi. Il direttore regionale dell’assessorato al Lavoro, Giovanni Lo Bue, nel forum del 9/4/2009 ci diceva che in tutti i vari uffici dislocati nelle nove province ci sono circa duemila addetti per questa funzione. Ma nessuno se ne accorge.
Una terza causa riguarda le organizzazioni imprenditoriali, le quali dovrebbero fare un censimento dinamico e continuativo col proposito di pubblicare sui quotidiani le richieste di figure professionali necessarie alle singole imprese.
Una quarta causa riguarda ancora l’amministrazione regionale che dovrebbe convertire l’inutile formazione – che costa 250 milioni alla Regione e utilizza altri 250 milioni del Fondo sociale europeo (mille miliardi di lire) – con una formazione da effettuarsi all’interno delle imprese che hanno bisogno di competenze.
Certo, questa manovra farebbe perdere il lavoro a tanti inutili formatori e risparmiare alla Regione decine di milioni. Ma, si sa, le cose positive vengono accantonate per servire un’azione demagogica e improduttiva. Le risorse finanziarie nel settore non sono poche e, se utilizzate al meglio, darebbero risultati non indifferenti. Ora si tratta di passare da un sistema improduttivo e sprecone ad un altro efficace che miri ai risultati, senza dei quali le parole sono inutili e servono solo ad ingannare l’opinione pubblica.
Una pubblica amministrazione lungimirante dovrebbe essere sorretta da un ceto politico altrettanto lungimirante al fine di investire nella scoperta e nel sostegno dei talenti fin da quando questi si trovano nei vari livelli delle scuole. E sostenerli fino al conseguimento di laurea e master per poi inserirli direttamente nei vertici ove potrebbero maturare quell’esperienza necessaria a farne dei valenti dirigenti.
Come sempre, occorre progettare il futuro che passa attraverso l’acquisizione di conoscenza e l’utilizzo di professionalità del più alto livello possibile.
Una selezione in base al merito, come prima descritto, comporta inevitabilmente una conseguenza: cacciare le teste vuote. Non solo quelle che non possiedono materia grigia, ma anche le altre che pur possedendola non hanno la voglia di usarla o, per contro, la usano per attivare meccanismi parassitari idonei a succhiare il sangue dalla Cosa pubblica.
è sempre il ceto politico che ha la prima responsabilità di attuare una linea che premi chi merita e sanzioni chi non merita. La linea di demarcazione tra merito e demerito è inoppugnabilmente indicata nei risultati che si conseguono. è da essi che si deduce la responsabilità di chi opera, distinguendo con chiarezza e trasparenza l’efficacia o l’inefficacia dell’azione. I principi prima enunciati sono semplici, facili da comprendere, ma un po’ più difficili da attuare. Ma si può fare, se chi ha responsabilità, nei settori pubblico e privato, attua senza esitazione una modalità che distingua i capaci dagli inetti.