Contributi Ue illeciti? Danno all’erario - QdS

Contributi Ue illeciti? Danno all’erario

Lucia Russo

Contributi Ue illeciti? Danno all’erario

venerdì 26 Marzo 2010

La recente sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti Sicilia n. 313/2010 del 12 febbraio 2010. Quando un privato intasca soldi pubblici per utilizzarli diversamente dalle finalità previste

PALERMO – Lo abbiamo scritto più volte: la Sicilia è ultima per spesa dei fondi comunitari e prima per numero di frodi.
È recente la sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti Sicilia (n. 313/2010 del 12 febbraio 2010) in tema di danno erariale cagionato al Ministero dello Sviluppo economico per percezione, da parte di una società s.r.l., di contributi comunitari non dovuti.
I fatti risalgono all’aprile 2001 quando l’allora ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato, concedeva alla Società un contributo “in conto impianti” di € 630.062,08, da erogare in tre quote annuali di € 210.022,36 ciascuna, a seguito di domanda presentata dalla stessa società l’anno prima ai sensi del D.L. 22 ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 1992, n. 488, per l’erogazione di incentivi previsti nel Programma Operativo Nazionale “Sviluppo Imprenditoriale Locale”. In data 13/6/2002 e 3/11/2003 venivano erogate le prime due tranches dell’agevolazione.
La Guardia di finanza di Augusta, nel febbraio 2006, nell’ambito delle iniziative per la repressione delle frodi a danno del Fondo europeo di Sviluppo regionale (Fers) per interventi cofinanziati con risorse nazionali, eseguiva un accertamento ispettivo nei confronti della Società. In tale occasione constatava, fra l’altro, che l’opificio industriale, sede operativa dell’impresa, era, oltre che strutturalmente incompleto (mancanza della rifinitura esterna e dell’impianto elettrico), anche privo di attrezzature ed arredi. Accertava, altresì, l’esistenza di fatture relative ad operazioni inesistenti utilizzate per giustificare l’erogazione del contributo.
La Procura Regionale, sulla base degli elementi informativi forniti dalla Guardia di Finanza, perveniva al convincimento che le condizioni legittimanti la fruizione dei contributi comunitari erano state disattese.
Pertanto, dopo la rituale contestazione del presunto danno erariale, reputando infondate le deduzioni difensive prodotte, citava in giudizio l’Amministratore unico della Società beneficiaria dei contributi, con atto del primo marzo 2009, chiedendone la condanna al pagamento in favore del Ministero delle Attività Produttive della somma di € 420.044,72 pari alle due quote di agevolazioni erogate nel 2002 e nel 2003, oltre interessi e rivalutazione.
In data 8/1/2010 la Procura depositava la nota prot. n. 0125205 del 10/11/2009 con la quale il Ministero dello sviluppo economico comunicava l’avvio del procedimento di revoca delle agevolazioni finanziarie erogate alla Società negli anni 2002, 2003 e 2004 avuto riguardo al mancato invio delle dichiarazioni di monitoraggio ed all’utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti.
All’udienza del 27/1/2010, non costituito il convenuto, il Pubblico Ministero, reiterava le richieste rassegnate in atti.
Nella decisione della causa, la Corte specifica che si realizza un danno per l’ente pubblico quando il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue censurabili condotte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla Pa, alla cui realizzazione esso è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza della sua azione od omissione sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite. Il danno viene realizzato, spiega ancora la Corte, “anche sotto il mero profilo di precludere l’erogazione del finanziamento ad altri possibili beneficiari”.
La società in questione è stata pertanto condannata, è scritto nella sentenza:
– al pagamento, in favore del Ministero dello Sviluppo Economico dell’importo di € 420.044,72, somma da maggiorare della rivalutazione monetaria, da calcolarsi, separatamente per le due quote annuali, secondo l’indice dei prezzi calcolato dall’ISTAT, dalla data di ciascun pagamento alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché degli interessi legali maturandi, sull’importo rivalutato, dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo;
– al pagamento, in favore dello Stato, delle spese processuali che, sino al deposito della presente decisione, si liquidano in complessivi €. 157,64 (euro centocinquantasette/64).
 


Presenti tutti gli elementi indispensabili per configurare la fattispecie di danno
 
Il collegio giudicante ha evidenziato che ricorre la condotta antigiuridica “ove si consideri che è incontroverso che gli importi erogati non sono stati impiegati per la finalità per la quale erano destinati. Ed infatti, sebbene il contributo fosse stato erogato “in conto impianti”, dalle verifiche compiute dalla GdF in data 8/2/2006, è risultato che l’opificio, peraltro strutturalmente incompleto (mancando le rifiniture esterne e l’impianto elettrico) e perciò inidoneo all’esercizio dell’attività di “Confezione su misura di vestiario” (oggetto dell’attività della Società), era del tutto privo di arredi e di attrezzature”.
“Inoltre – è scritto nella sentenza – sussistono convergenti constatazioni (verifica compiuta dalla GdF e nota del Ministero dello Sviluppo Economico del 10/11/2009) circa il fatto che sono state impiegate fatture relative ad operazioni inesistenti per provare l’impiego dei contributi per le pertinenti finalità. Tali elementi, la cui attendibilità non è stata messa in dubbio dalla parte convenuta, sono bastevoli per ritenere provata la sussistenza di una condotta contra ius foriera di danno. Tale condotta è imputabile, come sostenuto dall’Organo requirente, a titolo di dolo”.

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