Lo sporco imbroglio delle Ato spa - QdS

Lo sporco imbroglio delle Ato spa

Carlo Alberto Tregua

Lo sporco imbroglio delle Ato spa

mercoledì 31 Marzo 2010

Clientelismo e sindaci scorretti

Sulla stampa e nelle televisioni si sente parlare delle Ato, società per azioni, come di soggetti maschili: gli Ato. Essendo invece delle Spa, ovviamente si tratta di un acronimo femminile. Perché questa precisazione apparentemente lessicale? Perché le Ato non hanno agito come soggetti di diritto privato, seppur controllate dai Comuni, bensì come strutture clientelari al di fuori delle regole del Codice civile e della buona amministrazione.
Le Ato Spa sono state fondate dai Comuni i quali sono rappresentati nell’assemblea dai sindaci o dai loro delegati. Esse hanno il compito di effettuare i servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti o il servizio idrico ove richiesto. Si tratta di società di gestione che hanno la possibilità di affidare a terzi il servizio o di gestirlo in house.
Le entrate sono costituite dalla Tarsu, a carico di imprese e cittadini proprietari o inquilini di abitazioni, addizionate dalle entrate provenienti dai Comuni ai quali le stesse società hanno effettuato il servizio pubblico.

Dall’altra parte, le uscite sono costituite dalla spese di gestione di rete e/o di quelle necessarie per l’affidamento a imprese. Il bilancio può essere previsto in utile o in pareggio, mai in perdita perché preventivato sulle entrate effettive e sulle uscite corrispondenti.
Così non è stato, le Ato Spa hanno maturato un miliardo di debiti, conseguenza di cattiva gestione sotto lo sguardo schifato dei cittadini sommersi di spazzatura.
Come è potuto accadere tutto cio? E soprattutto, perché? Gli amministratori, ricordiamo, nominati ai sensi del Codice civile, si sono fissati compensi sproporzionati; hanno proceduto ad assunzioni clientelari ingiustificate; non hanno attivato procedure coattive nei confronti dei loro clienti: cittadini, imprese, enti locali, contravvenendo così ad un preciso imperativo del Codice civile, senza che i collegi dei revisori (controllori) battessero ciglio. Uno sporco imbroglio maturato sulle spalle dei cttadini.

 
Chi pagherà il miliardo di debiti? Naturalmente quei fessi dei siciliani attraverso il bilancio regionale. Qualcuno degli amministratori andrà in galera per bancarotta fraudolenta? Ne dubitiamo. Perchè fino ad oggi nessuna Procura siciliana ha aperto fascicoli per le chiare notizie criminis provenienti da un comportamento illegale di amministratori e revisori contabili.
L’altra metà della mela è data dai sindaci, che si sono comportati in modo scorretto. Nella loro qualità diprimi cittadini sobillavano i propri utenti a non pagare la Tarsu; come responsabili dell’ente locale non hanno pagato il servizio; come componenti dell’assemblea delle Ato Spa protestavano perché gli amministratori non attivavano le procedure coattive nei confronti dei debitori. Un esempio di trasformismo deteriore, frutto della cattiva politica che ha rovinato la Sicilia.
Su questo sporco imbroglio ne saprete di più leggendo l’inchiesta a pagina 10. Il peggio della questione è che l’assessore competente per la vigilanza sul buon funzionamento delle Ato non ha fatto alcuna mossa, mentre avrebbe dovuto inviare gli ispettori per controllare le cospicue disfunzioni trasformatesi in vergogne sulle strade di tante città siciliane.
Ora il Governo regionale sta finalmente cercando di metterci una pezza. L’Assemblea ha approvato faticosamente gli articoli della riforma che riducono le Ato da 27a 10 (9 provinciali piu una per le Isole) ma, nel disegno di legge, non abbiamo ancora individuato le forti sanzioni nel caso gli amministratori non si comportassero secondo legge. Nè abbiamo intravisto alcuna norma per vietare l’assunzione di ulteriore personale e neppure l’obbligo per il cda di redigere un piano industriale secondo principi di efficienza indispensabili per governare una Spa.
Infine non abbiamo scorto cosa fare dei mille dipendenti in più che non possono certamente continuare ad albergare nella pancia delle nuove Ato, pena il loro proclamato fallimento in anticipo. Se la legge di riforma nasce male il problema non viene risolto.

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