Corte costituzionale vìola lo Statuto - QdS

Corte costituzionale vìola lo Statuto

Lucia Russo

Corte costituzionale vìola lo Statuto

venerdì 02 Aprile 2010

Statuto. Gli articoli 36 e 37 rimangono inapplicati.
Dpr n. 1074/65. Nelle entrate spettanti alla Regione sono comprese quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale, affluiscono a uffici finanziari fuori Regione.
Il contrasto. Il presidente del Consiglio dei ministri oppone al criterio del territorio dove si manifesta la capacità fiscale, preteso dalla Regione siciliana, quello del luogo della riscossione.

Con le due sentenze della Corte costituzionale del 25 marzo, che hanno rigettato due ricorsi della Regione, del 2008, finalizzati a recuperare alle casse regionali un gettito di più di un miliardo di euro, si riconferma l’orientamento della Consulta a calpestare l’Autonomia. Questo trova le sue origini nel 1957, quando l’Alta Corte, competente per i conflitti di attribuzione, con una composizione paritetica, tre membri di nomina parlamentare e tre nominati dall’Ars, è stata assorbita. Da allora, tranne qualche eccezione, le prerogative statutarie sono state vanificate. A nulla sono serviti i ricorsi della Regione. Gli ultimi due hanno persino richiamato due direttive comunitarie in linea con le richieste della Regione. La stessa Corte ha negato validità a due sue sentenze, una del 1988 e un’altra del 2004.
 
L’articolo 24 dello Statuto della Regione siciliana approvato con Regio decreto del 15 maggio del 1946 n. 455 recita:
“1. È istituita in Roma un’Alta Corte con sei membri e due supplenti, oltre il Presidente ed il Procuratore generale nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione, e scelti fra persone di speciale competenza in materia giuridica.
2. Il Presidente ed il Procuratore generale sono nominati dalla stessa Alta Corte.
3. L’onere finanziario riguardante l’Alta Corte è ripartito egualmente fra lo Stato e la Regione”.

Ma all’articolo 24, fa capolino una nota che dice: “La competenza dell’Alta Corte è stata dichiarata assorbita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 38 del 1957 della Corte Costituzionale stessa”. Con quella parola “assorbita” è stata segnata già nel 1957 la fine dell’Autonomia vera della Sicilia, dal momento che, a eccezione della protesta dell’allora presidente della Regione Giuseppe Alessi che si dimise, nessun esponente istituzionale ha fatto qualcosa contro quello che Massimo Costa, nel suo libro “Lo Statuto speciale della Regione siciliana: un’Autonomia tradita” ha definito un vero e proprio colpo di stato.
Da allora, da quando di fatto l’Alta Corte ha cessato di esistere ed il suo posto è stato usurpato dalla Corte costituzionale, quest’ultima, in quanto organo centrale e senza nessun membro espressione dell’Assemblea legislativa siciliana, a differenza dell’Alta Corte, è sempre intervenuta smantellando l’Autonomia siciliana.
Su questo argomento il Quotidiano di Sicilia circa un anno fa, il 25 aprile 2009, ha pubblicato una pagina con tutta la verità sullo Statuto siciliano rimasto inapplicato.
Ecco intervenire adesso due nuove sentenze della Corte costituzionale, 115 e 116 del 25 marzo 2010, che confermano l’orientamento a lasciare il nostro Statuto inapplicato e dunque a mortificare l’autonomia. La Corte Costituzionale ha compromesso così anche quegli introiti che il Governo regionale attendeva dallo Stato e su cui contava già nel redigendo progetto di bilancio per il 2010. Un ammontare stimato in circa un miliardo di euro che va in fumo.
La Corte costituzionale nello stesso giorno, il 25 marzo, ha deciso sui ricorsi notificati dalla Regione siciliana, uno il 27 febbraio 2008, quando già Cuffaro si era dimesso e la Giunta regionale era guidata dall’allora vicepresidente Lino Leanza (Mpa). L’altro il 20 ottobre 2008 dal governatore Lombardo. Entrambi i ricorsi sono stati rigettati.

Non solo lo Statuto, ma anche Direttive europee a sostegno dei ricorsi
In entrambi i ricorsi la Regione siciliana non solo si appella alla violazione degli articoli 36 e 37 dello Statuto, ma anche delle relative norme di attuazione, quelle che hanno fatto sì che lo Statuto è parte della stessa Costituzione. Inoltre richiama anche norme comunitarie contenute in specifiche direttive.
Nel ricorso per la riscossione delle imposte il cui presupposto è maturato nel territorio della Regione, è stato richiamato l’articolo 2 della direttiva n. 88/357 del 22 giugno 1988 in materia di assicurazioni, il quale, “ad avviso della Regione stessa, determina ‘il luogo’ in cui il rischio è situato basandosi su criteri di carattere concreto e materiale – coincidenti invero con quelli individuati dalla legge n. 1216 del 1961 – anziché su criteri di carattere giuridico”.
Nel ricorso del 20 ottobre 2008 la Regione, rivendicando a sè la spettanza del gettito derivante dalla tassazione sul consumo di taluni prodotti energetici, “rileva in proposito che la Direttiva del Consiglio dell’Unione europea del 27 ottobre 2003, n. 2003/96/CE (Ristrutturazione del quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità), ed il decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26, che ha recepito nell’ordinamento italiano la predetta direttiva comunitaria, hanno determinato ‘sostanziali cambiamenti’ nella disciplina nazionale della tassazione indiretta di alcuni prodotti energetici, modificandone le relative accise da imposte di produzione in imposte sul consumo”.

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