Dilagano i lavoratori atipici in Sicilia - QdS

Dilagano i lavoratori atipici in Sicilia

Michele Giuliano

Dilagano i lavoratori atipici in Sicilia

mercoledì 21 Aprile 2010

Secondo un rapporto curato dall’Ires Cgil, sono tanti i licenziati che sono costretti a ripiegare in lavori senza alcuna stabilità. 16.000 i posti di lavoro persi nell’Isola nel 2009, 236.000 le persone ancora in cerca di occupazione

PALERMO – Dall’instabilità allo scoraggiamento. Da quando è iniziata la crisi sono diventati migliaia i siciliani che non hanno un’occupazione stabile che ritengono di non riuscire a trovare lavoro.
è il popolo degli scoraggiati, in netta crescita e che risiede, nella maggioranza dei casi al Sud e proprio in Sicilia. Lo afferma il rapporto curato dall’Ires Cgil, “Il lavoro atipico al tempo della crisi”, presentato nei giorni scorsi che trova riscontro anche da altri istituti di ricerca statistica titolati, come ad esempio l’Isfol. Insomma, il quadro già preoccupante della disoccupazione nell’Isola potrebbe avere effetti ancor più devastanti se fossero scremati dagli “occupati” anche coloro che hanno un lavoro atipico.
Nella sola pubblica amministrazione, come ha avuto modo di dire il ministro Brunetta, di atipici in Sicilia se ne contano ben 20 mila la maggior parte dei quali gravitano nelle aziende sanitarie e nei Comuni di media dimensione. Attorno gravitano altre decine di migliaia di lavoratori che si accontentano del part-time e di lavori di collaborazione a tempo determinato e senza alcun diritto dal punto di vista contributivo.
Il problema siciliano è che la tendenza del mercato del lavoro sta prendendo una preoccupante piega: “L’instabilità – scrive l’Ires facendo riferimento proprio alla Sicilia – diventa sempre più strutturale: si perdono posti di lavoro standard che vengono sostituiti da contratti instabili. Nel frattempo, si amplia l’area di coloro che si muovono tra lavoro e inattività: cresce così lo scoraggiamento”.
Sempre per effetto della crisi, sale la quota dei disoccupati a lungo termine (fino a 12 mesi), che nel secondo semestre dell’anno scorso è arrivata al 22 per cento. Un quadro tracciato che trova assoluta conferma nei recenti dati forniti dall’Istat: sono infatti 16 mila i posti di lavoro persi in Sicilia nel 2009 con un tasso di occupazione diminuito di oltre mezzo punto, passando dal 44,1 del 2008 al 43,5 del 2009. Pressocché invariato il dato sulle persone in cerca di lavoro: 236 mila (erano 237 mila). La Sicilia si conferma la regione con il tasso di disoccupazione, pari al 13,9 per cento (era il 13,8), più alto d’Italia, superiore anche alla media del Mezzogiorno (12,5 per cento).
Del lavoro atipico fanno parte tutte le forme di impiego che non presentano le caratteristiche della stabilità del rapporto di lavoro e/o dell’orario pieno, ovvero tutte le forme differenti dal contratto full time a tempo indeterminato definito dall’ordinamento italiano “tipico”.
Secondo la ricerca dell’Ires le categorie merceologiche dove possiamo trovare parecchi contratti atipici sono soprattutto nel settore del terziario privato dei servizi alle imprese e nell’industria, ma anche nel terziario dei servizi alla persona e, infine, nell’agricoltura.
Come tipologie contrattuali si tratta soprattutto di contratti di collaborazione: di co.co.co. (contratti di collaborazione coordinata e continuativa), di co.co.pro. (contratti di collaborazione a progetto), di lavoro interinale, di lavoro dipendente a tempo determinato.
 


Il profilo: 30 anni, istruzione medio-alta e single
 
PALERMO – Da studi e ricerche si è evidenziato che il lavoratore atipico è  un individuo che generalmente ha meno di 30 anni, un’istruzione medio-alta, per lo più single, senza figli, con un contratto a tempo determinato.
Esistono anche lavoratori atipici, in percentuale, fortunatamente, molto bassa, che hanno più di 40 anni e altri che superano i 50. Il lavoro atipico ha una pesante peculiarità che è quella della precarietà; un forte impedimento, quindi, a creare una famiglia ed ecco perché una delle caratteristiche del lavoratore atipico è quella di essere appunto single, non per scelta, quindi, ma per impossibilità di mantenerla, ma anche quelli che con un contratto a tempo determinato decidono di crearla, spesso non hanno figli.
Queste nuove forme di lavoro intermedie tra il lavoro autonomo (che equivale a lavoro indipendente, cioè a qualsiasi prestazione lavorativa svolta senza un contratto di lavoro dipendente) e quello subordinato si sono estese rapidamente, nella seconda metà degli anni novanta.

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