Tasso di occcupazione al 43,5%, ma per le donne scende al 30,6% - QdS

Tasso di occcupazione al 43,5%, ma per le donne scende al 30,6%

Vanessa Paradiso

Tasso di occcupazione al 43,5%, ma per le donne scende al 30,6%

venerdì 14 Maggio 2010

Scoraggianti gli ultimi dati Istat sul mercato del lavoro in Sicilia: gli isolani costretti ad emigrare. In cinque anni 80.000 laureati costretti ad abbandonare il Sud in cerca di fortuna

PALERMO – Gli ultimi dati diffusi dall’Istat registrano nel mese di marzo un tasso di disoccupazione all’8,8% che nella media nazionale si colloca come il dato peggiore dal secondo trimestre 2002, ma i guai peggiori riguardano il Sud della penisola, dove a pagare il conto della crisi occupazionale sono maggiormente i giovani e le donne del Sud.
Sicilia, Sardegna e Campania sono le regioni con il tasso di disoccupazione più alto d’Italia (rispettivamente 13,9% per la Sicilia, 13,3% per la Sardegna e 12,9% per la Campania). Si conferma il triste primato della Sicilia in termini negativi. L’Istat infatti evidenzia un incremento del tasso di disoccupazione giovanile in Sicilia pari al 38,5% e la disoccupazione giovanile delle donne raggiunge il 40%.
Analizzando i livelli provinciali, i valori più elevati di tasso di disoccupazione totale vede capofila Palermo, seguita da Agrigento. Entrambe le province raggiungono e superano ciascuna il 17%. Situazione parimenti drammatica a Catania, dove i dati diffusi dall’Ires evidenziano un forte aumento della precarizzazione del lavoro. Infatti, proprio a Catania, Susanna Camusso, segretario nazionale Cgil, ha rilanciato “il dramma del lavoro in una città dove funziona solo il precariato dichiarando che è necessario pensare subito ad un “Piano per il lavoro”, perché è necessario che a Catania si affronti la crisi subito e che si diano prospettive ai giovani”.
Stessa situazione a Siracusa, dove il Comune non ha ancora attuato alcun piano di stabilizzazione dei precari, mantenendo ancora una forte disuguaglianza tra lavoratori socialmente utili, precari con contratti a 20 ore, altri a 24 ore, altri ancora a 30 ore. A livello regionale le stime più basse relative al tasso di occupazione si registrano in Sicilia (43,5%), seguita da Calabria (43,1%) e Campania (40,8%). è da notare però che in tutto il Meridione i tassi di occupazione delle donne sono contenuti e, in ogni caso, inferiori al dato medio nazionale. In Sicilia si stima che la quota delle donne occupate tra i 15 e i 64 anni sia inferiore alla metà di quella dell’Emilia Romagna.
A fare il punto sulla situazione occupazionale delle donne è la Consigliera nazionale di parità, Alessandra Servidori, confermati dalla Consigliera regionale, Claudia Serio, laddove dichiara che “il tasso di occupazione femminile continua a seguire il passo, ma il Sud mostra una quota di coinvolgimento delle donne nel lavoro sensibilmente più bassa rispetto al Nord. Nel 2009 il tasso di occupazione femminile si è attestato attorno al 46,4%, ma nel Mezzogiorno la quota scende al 30,6%, così come al Sud dove rispetto al Nord il divario è del -21,4%”.
Per molti non resta che emigrare, proprio come decenni fa. Ma ora a fare questa scelta sono soprattutto i giovani laureati: tra il 2000 e il 2005 sono emigrati dal Sud al Nord oltre 80.000 laureati. “Il Mezzogiorno diventa quindi sempre meno capace – rileva l’Isae – di trattenere il proprio capitale umano, impoverendosi della dotazione di uno dei fattori chiave per la crescita socio economica regionale”. “La situazione si aggrava sempre più – ha detto la segretaria generale della Cgil, Sicilia Mariella Maggio – tutto ciò si traduce nella crescita del disagio sociale: più disoccupati e meno opportunità di lavoro nella fasce tra 25 e 44 anni, flussi migratori temporanei che coinvolgono almeno 500 mila persone l’anno, difficoltà dei segmenti più deboli della popolazione”. La Cgil propone da tempo un’unità di crisi, con la partecipazione di tutte le parti sociali, “per avviare da un lato interventi che diano risposte immediate in termini di lavoro e dall’altro agiscano sulla programmazione per rimettere sotto controllo la spesa pubblica, cambiare dinamiche che non hanno portato a nulla, rivisitare gli indirizzi della spesa dei fondi comunitari”.

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