Draghi, evasione e macelleria sociale - QdS

Draghi, evasione e macelleria sociale

Carlo Alberto Tregua

Draghi, evasione e macelleria sociale

mercoledì 02 Giugno 2010

Riqualificare la spesa pubblica

Le Considerazioni finali della relazione che il Governatore  della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha letto all’assemblea il 31 maggio hanno attirato l’attenzione non tanto sul generico consenso alla Manovra finanziaria 2011-2012, quanto alla ripetizione della locuzione macelleria sociale usata per la verità per primo da Giulio Tremonti.
In effetti, la locuzione si riferiva ai tagli e non all’evasione, quindi la novità consiste nel fatto che il Governatore ha spostato il bersaglio verso l’evasione fiscale e contributiva. La connessione è che non incassando 120 mld € lo Stato non può ridistribuire risorse soprattutto ai ceti più deboli anche attraverso servizi sociali indispensabili ad anziani, ammalati e bambini.
La tiepida approvazione della manovra, da parte di Draghi, conferma che essa è stata fatta all’acqua di rose. Il ministro Tremonti sa perfettamente che la questione riguarda l’abbattimento del debito pubblico, che passa attraverso l’avanzo e non il disavanzo annuale.

Intendiamoci, non l’avanzo primario – cioè l’eccedenza delle entrate rispetto alle uscite senza tener conto degli interessi passivi sul debito pubblico – ma l’avanzo che abbia coperto tali interessi, in modo che vada a decurtare il debito. La conseguenza è che negli anni successivi tali interessi diminuirebbero, liberando risorse per investimenti.
Draghi ha centrato il cuore della sua relazione sull’aumento delle entrate, non in conseguenza di nuove o maggiori imposte, bensì sulla scoperta di redditi nascosti. Forse la sua attenzione poteva essere più precisa, elencando i numerosissimi sprechi dello Stato nei suoi tre livelli, centrale, regionale e locale, e dei privilegi della Casta politica, dove numerosissimi ex continuano a mangiare sulla greppia pubblica, cioè sui nostri soldi, anziché vivere solo delle pensioni.
Ci riferiamo, a titolo di esempio, a ex (presidenti di Repubblica, presidenti del Consiglio, ministri, presidenti di Regione e via elencando) che continuano ad avere uffici, segretarie, auto blu, rimborsi di spese telefoniche e viaggi aerei e ferroviari, tutti a carico nostro. Una vergogna.

 
La questione dei tagli della spesa pubblica è stata affrontata in maniera ben più rigorosa dalla Spagna, che ha tagliato il 7,7 per cento, pari a 15 mld €, più 50 che aveva già tagliato; dalla Germania, che ha tagliato 70 mld €; dalla Gran Bretagna, il cui primo ministro David Cameron si è perfino privato dell’auto blu e pare voglia rinunciare alla tradizionale sede di Down Street 10.
Impensabile che la Presidenza del Consiglio rinunzi anche ad uno dei cinquemila dipendenti, una massa pletorica di gente inutile (ma poi vi è una minoranza che lavora seriamente e duramente) se confrontata con le poche centinaia di dipendenti della cancelliera Merkel o del presidente Sarkozy.
Draghi non ha puntato il dito sulla cancrena che c’è nella pubblica amministrazione, cioè su quella corruzione che dilaga ogni giorno di più perché è venuto meno il codice etico dei comportamenti pubblici. Tutti tengono famiglia e ognuno giustifica l’altro perché ha la riserva di commettere a propria volta violazioni.
Il Governatore non ha neanche puntato l’accento, come avrebbe dovuto, sulle ingiustificate lamentele di ministri, sindaci e responsabili di amministrazioni di vari livelli per le riduzioni dei trasferimenti. Occorreva un’autorevole reprimenda che ricordasse come fosse (e sia) necessaria una riorganizzazione di tutte le amministrazioni, in modo da riqualificare la spesa, aumentare l’efficienza e produrre risultati più consoni alla necessità di utilizzare bene le imposte pagate con tanta fatica dai bravi cittadini.
Probabilmente è questo il nocciolo della rivoluzione che euro e patto di stabilità stanno silenziosamente creando nel nostro Paese, con maggiore incidenza nel Mezzogiorno. Finalmente ministri e direttori generali da un canto, presidenti di Regione e dirigenti regionali dall’altro, sindaci e dirigenti locali dal terzo lato del triangolo devono capire che le risorse pubbliche vanno spese in base a Piani industriali e non a metodi clientelari che favoriscono questo o quello. Questa rivoluzione l’avevamo preannunciata negli anni Duemila e dopo dieci anni gli effetti si cominicano a sentire. Anche i falsi sordi si dovranno piegare all’evidenza dei fatti. Non è mai troppo tardi.

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