Divario tra Sud e Nord: servono infrastrutture - QdS

Divario tra Sud e Nord: servono infrastrutture

Raffaella Pessina

Divario tra Sud e Nord: servono infrastrutture

giovedì 01 Luglio 2010

Forum con Giuseppe Sopranzetti, direttore della sede regionale della Banca d’Italia

La situazione economica in Italia in questi ultimi due anni è stata preoccupante. Il Sud ne ha risentito secondo lei di più o di meno del resto della nazione? Ce la farà ad uscire dalla crisi?
“Se non ce la fa il Sud non ce la fa l’Italia. Il gap tra il Sud e le altre regioni d’Italia è altissimo ed è necessario colmare questo divario innanzitutto. In un nostro studio abbiamo affrontato quelli che sono i problemi e le cause che hanno provocato il mancato sviluppo del Sud e della Sicilia in particolare. Abbiamo visto che non sono legati solo alla crisi internazionale che ha investito tutta l’Europa ma vi sono anche responsabilità locali. Non si è lavorato come si doveva. Un altro problema che si è presentato riguarda il cosiddetto capitale sociale, che è un concetto abbastanza semplice e formato da tre elementi: qualità della relazione pubblica, saper unire le forze e realizzarle. Si dovrebbero affrontare questi problemi innanzitutto per rendere fruibile il territorio, attraverso le infrastrutture, ed in secondo luogo per renderlo appetibile. Ma per ottenere questo ciascuno deve lavorare e fare il proprio dovere.
Come Banca d’Italia abbiamo realizzato uno studio che va dal 1995 al 2007, dal quale si evince che il Pil, nel periodo preso in considerazione, è calato di qualche punto. L’incremento medio annuo dei valori correnti in Sicilia è stato del 3,8 %, mentre nel Mezzogiorno 3,9 % e infine del 4,1 % in Italia. Non è molto il divario, ma si può notare che, invece di recuperare per diminuire il gap, il Sud si sta sempre di più allontanando dal resto d’Italia, economicamente parlando. E proprio a Catania si è registrata la maggiore flessione”.
Quali sono i settori in cui maggiormente si è registrata la crisi economica?
“Le esportazioni. Dal  nostro studio si evince una diversa dinamica delle varie province. Ma la cosa interessante è che in questo periodo 1995/2007 la Sicilia non ha recuperato niente sull’Italia anzi ha perso qualcosa. Ovviamente la Sicilia non poteva non risentire della crisi internazionale. Le esportazioni sono calate tantissimo soprattutto a Catania. Facendo un paragone si può capire la dimensione del problema: la città di Mantova da sola fa 4,5 miliardi di esportazioni mentre la Sicilia con 5 milioni di abitanti ne fa solo 3 miliardi in tutta la regione. Il fatto di non essere una regione esportatrice forse ha permesso alla Sicilia di risentire meno del resto della nazione. Il problema della crisi si è manifestato anche nel settore del turismo, che per il terzo anno consecutivo ha visto diminuire sia gli arrivi che le presenze. Gli arrivi sono diminuiti lo scorso anno dell’8,2 %. Quello che è andato peggio è stato il flusso turistico degli stranieri con una flessione del 12 % circa. Gli italiani sono stati l’8 % in meno. In Sicilia il 40 % dei turisti è straniero ed è una percentuale di tutto rispetto. L’anno scorso abbiamo fatto un’indagine strutturale dalla quale si evinceva che negli ultimi dieci anni la Sicilia era la regione che aveva registrato la maggior crescita degli stranieri poi, negli ultimi due anni anche a causa della crisi, si è verificata questa flessione”.
Quale è secondo lei la ricetta per uscire dalla crisi quì in Sicilia?
“L’impegno in cui ci si deve profondere è proprio quello di eliminare il gap tra Sicilia con il resto del Paese. Il disagio del Sud ormai atavico ha ovviamente le radici nella mancanza di infrastrutture. Sono quelle le prime ad dover essere realizzate. E’ chiaro e lo ribadisco che ognuno deve fare il proprio dovere, vale a dire sia le istituzioni che i responsabili dei vari settori, nessuno escluso”.
Se una banca nazionale non si comporta in Sicilia con i parametri nazionali ma attua dei tassi diversi, naturalmente a svantaggio dei cittadini , voi non avete il dovere d’intervenire?
“In Sicilia il credito è rischioso per  sommerso, illegalità e rischiosità: questi sono fattori che non possono non incidere sul tasso. Poi se il tasso è giusto o meno è il mercato che lo deve dire”.
 

 
La sede di Palermo svolge attività ispettiva anche su Calabria, Basilicata e Puglia
 
Avete fatto una ristrutturazione uguale in tutta Italia o avete scelto alcune zone?
“A livello nazionale la ristrutturazione è stata un po’ più radicale, perché abbiamo chiuso 33 filiali, e di 37 ne abbiamo cambiato le funzioni e accentrato i compiti di vigilanza su 20 filiali più 6. Venti sono i capoluoghi di regione, le altre sei sono filiali che hanno piena operatività come Catania. All’inizio il cambiamento doveva essere molto più duro, ma vi sono delle filiali che non potevano essere soppresse per la loro importanza sul territorio”.
Su quali banche esercitate il controllo: su tutte o avete un target da rispettare?
“A livello decentrato Palermo e Catania hanno responsabilità su tutte le banche della Sicilia, dalla Popolare di Ragusa in giù. Ovviamente Palermo lo fa per la Sicilia occidentale e Catania per quella orientale. Palermo quest’anno coordina anche i piani ispettivi e di vigilanza di altre quattro regioni. Normalmente ci si alterna con Bari perché chi fa vigilanza cartolare non fa vigilanza ispettiva. Abbiamo così creato un’area che comprende Puglia, Calabria Basilicata e Sicilia. Non è che con gli istituti più grossi come il Banco di Sicilia non dialoghiamo più. è evidente che manteniamo comunque un rapporto, soprattutto per fini di ricerca economica. C’è. inoltre, un’altra attività di vigilanza che si sta sempre di più affermando al di là di quella prettamente tradizionale, quella che va a controllare i rischi operativi: il riciclaggio, l’usura ed anche la trasparenza”.

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