Crisi, lo stipendificio salva Palermo - QdS

Crisi, lo stipendificio salva Palermo

Alessandro Petralia

Crisi, lo stipendificio salva Palermo

venerdì 02 Luglio 2010

Economia. Le province siciliane a confronto.
Pil pro capite. Le stime dimostrano come Catania, tradizionale capitale commerciale dell’isola, si sia impoverita molto di più di Palermo, che ospita la maggior parte degli uffici amministrativi.
Nati-mortalità imprese. Nonostante le grandi difficoltà, nella provincia etnea il saldo tra imprese nate e cessate è in positivo dello 0,5%: in Sicilia lo stesso indicatore ha segnato invece un -1,1%.

CATANIA – Gli indicatori economici relativi al 2009 mostrano come la crisi abbia colpito in maniera diversa non solo da Paese a Paese, ma all’interno di essi da regione a regione e da città a città.
L’analisi comparata della situazione delle province siciliane ha evidenziato come a soffire maggiormente siano state le economie più dinamiche. Catania, tradizionale capitale commerciale isolana, ha infatti chiuso, rispetto al 2008, con un – 7,2% nel Pil pro capite. La “capitale” Palermo, forte di quasi centomila dipendenti pubblici contro i 61 mila etnei, ha fatto meglio (- 0,2%), sorretta dai redditi riconducibile alla matrice pubblica.
Peggio di Catania ha fatto solo Ragusa che, trascinata dal calo dell’agricoltura, ha chiuso con un preoccupante – 16,3% nel Pil pro capite .
 
La crisi economica mondiale che nel 2009, a seguito del crack delle banche americane, ha funestato i sistemi produttivi e commerciali dei Paesi più industrializzati è stata avvertita in maniera differente da Paese a Paese e all’interno di ognuno di essi da città a città.
Non fa eccezione l’Italia ed al suo interno la Sicilia. Secondo i dati diffusi dall’Ufficio studi della Camera di commercio di Catania il bel Paese ha infatti chiuso il 2009 con una variazione del Pil pro capite in negativo del 3,8% rispetto al dato registrato l’anno precedente. Non molto diversa la performance della Sicilia che ha chiuso con un -3,5% per un Pil totale che supera di poco gli 84 mln di euro.
Non tutti gli indicatori tuttavia sono così lineari: ed infatti, all’interno dell’Isola, le economie provinciali hanno fatto registrare variazioni percentuali parecchio differenti tra loro. L’impressione che se ne ricava è che ad accusare maggiormente la crisi siano state proprio le economie più “avanzate”. Disaggregando i dati vediamo infatti come il Pil pro capite di Catania abbia subito nel 2009 un vero e proprio tracollo, segnando un -7,2% rispetto all’anno precedente; peggio di essa fa solo Ragusa con un disastroso -16,3% legato in grandissima parte alla crisi del comparto agricolo. Tiene invece Palermo, che con un -0,2% dimostra di aver sofferto la crisi molto di meno rispetto alla “sorella” etnea.
Traducendo le percentuali in euro, il Pil pro capite medio registrato a Catania è passato dai 17.527 euro del 2008 ai 16.256 del 2009: in media dunque gli abitanti di Catania e provincia si sono impoveriti di oltre 1.200 euro in un solo anno. A Palermo invece si è passati dai 17.643 euro del 2008 ai 17.600 del 2009 per un tenore di vita che quindi è rimasto sostanzialmente immutato. 
Catania, tradizionalmente caratterizzata da un’economia imprenditoriale e commerciale, ha dunque subito la crisi mondiale dei capitali molto di più del capoluogo siciliano, nel quale invece una fetta molto maggiore del reddito è legato allo “stipendificio” di matrice pubblica.
A confermare questo tipo di analisi ci sono tutta una serie di dati e indicatori. Innanzitutto il tasso di natalità e mortalità delle imprese: nel 2009 Catania ha fatto registrare, nel rapporto tra imprese nate e imprese cessate, un saldo positivo dello 0,5% in netta controtendenza non solo rispetto alla Sicilia, che ha totalizzato un -1,1%, ma anche rispetto all’Italia che, seppur di poco, ha rallentato con un -0,3%. Percentuali che dimostrano come, pur nella profonda crisi economica, il “popolo” catanese ha confermato una certa vocazione alla scommessa imprenditoriale.
In secondo luogo, che a subire maggiormente la crisi siano state proprio le economie a maggior vocazione imprenditoriale, lo conferma anche il fatto che in Italia la maggior recessione nel Pil pro capite sia toccata al Nord-ovest (-5,1%), seguita da Nord-est (-4,2%) e Centro (-2,5%).
In terzo luogo si può tener in considerazione la forma giuridica delle imprese registrate; a Catania le società di capitali, cioè la forma più evoluta di impresa economica contemporanea, si attestano al 12% del totale, un dato abbastanza alto rispetto alla media siciliana, che si attesta invece al 10,3% del totale.
Palermo da parte sua, per ovvie ragioni, accoglie buona parte dell’esercito dei dipendenti pubblici isolani.
Vediamo le cifre: secondo le stime fornite dall’Inpdap (Istituto nazionale di previdenza per dipendenti dell’amministrazione pubblica) i dipendenti pubblici iscritti nella sede provinciale di Palermo sono in totale 91.543, suddivisi tra statali (57.138) e impiegati negli enti locali (34.405). Più di un terzo rispetto alla sede provinciale di Catania, che conta un totale di 59.428 iscritti tra statali (35.656) e impiegati negli enti locali (23.772).
Non finisce qui perchè a questi vanno aggiunti i dipendenti della Regione Sicilia che a Palermo sono quasi il quadruplo che a Catania. La prima conta infatti 7.832 dipendenti regionali (di cui 1.020 dirigenti, 5.187 a tempo indeterminato e 1.625 a tempo determinato), mentre la seconda 2.004 (di cui 215 dirigenti, 946 a tempo indeterminato e 843 a tempo indeterminato.
Considerando la popolazione delle due province (del tutto similare), che vede 1.235.923 abitanti per Palermo e 1.054.778 per Catania (dati Istat riferiti al 2001) l’incidenza dei dipendenti pubblici nella tenuta del reddito provinciale non è assolutamente sottovalutabile: nel primo caso infatti l’8,5% della popolazione è riconducibile al pubblico impiego, nel secondo caso solo il 5,8%.

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