I precari di Sicilia come i cassintegrati - QdS

I precari di Sicilia come i cassintegrati

Carlo Alberto Tregua

I precari di Sicilia come i cassintegrati

venerdì 13 Agosto 2010

Mi vanto di essere sempre precario

C’è un lettore, pressappoco della mia età, che mi invita a dichiararmi precario. Ha azzeccato. è vero, nella mia lunga attività di lavoro, che dura ormai da 52 anni, sono sempre stato precario per mia scelta e continuo ad esserlo. Lo sarò, senza alcuna intenzione di andare in pensione, tanto che ho coniato il mio epitaffio: “Da oggi è in pensione”.
Bisogna precisare che vi sono precari di due tipi: il primo è colui che non possiede adeguate competenze per affrontare il mercato che gliele potrebbe riconoscere, se le possedesse. è colui che ha paura di affrontare i rischi, ha paura di mettersi in gioco, ha paura di confrontarsi con gli altri nella gara della vita. Ha paura di perdere e di cadere credendo di non riuscire a rialzarsi. Insomma precario è l’insicuro secondo la credenza popolare.
Il secondo, è chi crede, invece, che questo stato dia la libertà di decidere cosa fare e come farlo, senza alcuna preoccupazione di sacrifici anche enormi pur di scalare pendenze di sesto grado. Mi vanto di essere stato (ed essere) precario, perchè per me è un godimento affrontare sfide difficili, quasi impossibili.

Mi si è stretto il cuore quando qualche tempo fa un mio collaboratore mi comunicò che il suo figliolo, di circa trent’anni, era stato inserito nell’elenco dei precari di un Comune e la sua aspirazione sarebbe stata quella di diventarne dipendente a mille euro al mese. Non ho ribadito nulla per paura di ferirlo, ma nella mia mente è ritornata la riflessione che questo modo di pensare è la causa dell’arretratezza della Sicilia, la quale ha generato un ceto politico e burocratico di basso livello che non persegue la qualità e l’innovazione, bensì il sopravvivere, indipendentemente da un progetto di crescita.
Abbiamo più volte indicato la vera soluzione per fare lavorare sia i precari che i disoccupati, i quali, lo ribadiamo, non hanno avuto il privilegio della raccomandazione e sono rimasti fuori dal sistema pubblico. Tale soluzione consiste nell’adottare la sempre moderna teoria keynesiana e cioè trasferire le risorse indirizzate alla spesa corrente verso la spesa per investimenti.

 
Basterebbe che i 390 Comuni redigessero i 390 parchi-progetto relativi alla costruzione di nuove opere e alla ristrutturazione di beni esistenti, compresi gli 829 borghi cadenti, per ottenerne i finanziamenti e quindi aprire i cantieri per decine di migliaia di lavoratori.
Gli economisti convengono su un parametro: per ogni miliardo investito in infrastrutture, costruzione o ristrutturazione, si aprono le porte a circa diecimila posti di lavoro. Se la Regione e gli enti locali stornassero dai loro bilanci tre miliardi di spesa corrente verso gli investimenti, otterrebbero altri sei miliardi di finanziamenti (tre dalla Ue e tre dallo Stato). Con i complessivi nove miliardi si metterebbero in moto 90 mila posti di lavoro, dando sfogo così a tutti i precari pubblici di Regione ed Enti locali e a moltissimi disoccupati.
La colpa più grossa dei Governi regionali, mettiamo degli ultimi dieci anni, è avere speso inutilmente somme rilevantissime per la spesa corrente e per il clientelismo precariale, senza aver messo in moto la macchina economica degli investimenti. Colpa ancora più grande non aver speso le risorse del Por 2000/06 di cui ancora nel 2010 dobbiamo rendicontare ben 2,5 miliardi, un’autentica vergogna. Senza contare i circa nove miliardi che la Regione avrebbe dovuto spendere sul Po 2007/2013, di cui è già trascorsa la metà del periodo.

Ecco come si formano i posti di lavoro in una Regione che funzioni a miglior livello. Ecco come potrebbero trovare collocazione definitiva i precari pubblici ed i disoccupati inseriti in attività produttive di reddito e non più considerati come utilizzatori di ammortizzatori sociali.
è vero che nelle Regioni del Nord i cassintegrati delle grandi imprese gravano sulle casse dello Stato. Ma quelle casse sono state alimentate dalle stesse imprese quando le cose andavano bene. In ogni caso due torti non fanno una ragione. Il torto dei cassintegrati del Nord e quello dei precari della Sicilia non fanno sviluppo. Bisogna voltare pagina. Ora e subito. Parola di un eterno precario, libero di esserlo e di cui mi vanto. Meditate cari colleghi precari, meditate e siate liberi di scegliere

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