Sindaci, ora chi spreca è perduto - QdS

Sindaci, ora chi spreca è perduto

Alessandro Petralia

Sindaci, ora chi spreca è perduto

martedì 14 Settembre 2010

Enti locali. Le finanze pubbliche e il Patto di stabilità.
Meno fondi per tutti. Tra il 2011 e il 2012 il Governo centrale ridurrà i trasferimenti di 4 mld €. Saranno “dolori” per i Comuni, che dovranno congelare la spesa secondo parametri molto rigidi.
Stop agli sprechi. Stipendi, nuove assunzioni, società partecipate, gettoni di presenza, autovetture, rimborsi spese, sponsor: molteplici i fronti di spesa su cui si dovrà tirare il freno.

PALERMO – Un giro, anzi tanti giri di vite per rimettere i conti dei Comuni sul giusto binario: è lo spirito del nuovo Patto di stabilità aggiornato alla luce della Manovra d’estate, la legge 122/2010, che contiene una serie di vincoli cui dovranno sottostare le amministrazioni se non vorranno vedersi tagliati i trasferimenti.
Dai compensi di assessori e consiglieri agli stipendi di dirigenti e dipendenti, dalle auto di servizio alla gestione delle società partecipate, dai rimborsi delle missioni alle sponsorizzazioni: i fronti di spesa dove risparmiare sono molteplici e ai sindaci tocca rimboccarsi le maniche e agire subito. Diversamente, avranno meno introiti: le riduzioni saranno corrispondenti all’ammontare degli “sforamenti” rispetto al Patto.
 
Se ne parla da tanti anni ed ormai è entrato nel gergo comune; il concetto di Patto di stabilità non è certo tra i più recenti. La novità tuttavia è che il tempo delle “chiacchiere” è finito, o almeno così sembra: il Decreto Legge n. 78/ 2010, poi convertito con Legge n. 122 del luglio 2010 (artt. 5, 6, 8, 9 e 14), lo ha infatti inasprito rendendolo molto più cogente per tutti gli enti locali, soprattutto per i Comuni, per i quali esso è divenuto un parametro con cui fare i conti senza ulteriori rinvii.
IL PATTO EUROPEO – Ma cos’è il Patto di stabilità? Quante sfaccettature ha? Il patto di stabilità affonda le su radici nel  processo che, all’indomani della costituzione dell’Unione europea (Trattato di Maastricht del 1992), ha poi portato alla creazione della moneta unica europea: esso infatti venne adottato nel giugno del 1997 con risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam al fine primario di garantire l’equilibrio delle finanze pubbliche attraverso l’obiettivo del saldo di bilancio prossimo al pareggio o positivo di tutti i Paesi membri dell’Unione europea, attraverso l’introduzione di un tetto massimo a due parametri fondamentali: il deficit pubblico, che non dovrebbe superare il 3% del Pil, ed il debito pubblico, che non dovrebbe invece mai oltrepassare il 60% del Pil.
Il Patto di stabilità all’origine è dunque  un accordo di convergenza sovrastatale tra i Paesi membri dell’Unione europea: esso però ha avuto e continua ad avere conseguenze sempre più rilevanti all’interno di ogni Stato.
ACCORDI INTERNI – In Italia esso è stato tradotto in un Patto di stabilità interno, che ha avuto negli anni tre declinazioni fondamentali: accordo Stato-Regioni, accordo Stato-Comuni, accordo Regioni-Comuni. Il patto è dunque un insieme di norme, che viene aggiornato di anno in anno attraverso le manovre finanziarie varate dal Governo centrale, le quali di volta in volta determinano l’entità dei trasferimenti a favore degli enti locali: le ultime due norme in tal senso sono state la Legge n. 112 del 2008 e la già citata 122 del 2010, cioè la recentissima “manovra d’estate” varata dal ministro Tremonti. La quale, come dicevamo, ha inasprito sensibilmente tutti i parametri del Patto di stabilità rendendolo una vera spada di Damocle soprattutto per i Comuni.
LA “MANOVRA” – Ma quali sono le principali novità introdotte? Innanzitutto l’entità dei tagli dallo Stato ai Comuni, che ammonteranno a 1.500 milioni di euro per il 2011 e addirittura a 2.500 milioni di euro per il 2012, tagli dolorosissimi se si tiene presente che il valore complessivo dei trasferimenti in un anno è di 15.000 milioni di euro. I Comuni saranno quindi tenuti a diminuire drasticamente le spese per rientrare nei parametri del Patto, che per ogni ente è calcolato a partire da una proiezione sul bilancio del 2007: per rientrare nel patto gli enti dovranno infatti conseguire per ogni anno un saldo finanziario almeno pari alla proiezione del corrispondente saldo finanziario del 2007.
SANZIONI – L’altra importantissima novità riguarda il regime sanzionatorio: i Comuni che sforeranno il Patto subiranno infatti per l’anno successivo un decurtamento dei trasferimenti pari all’entità dello sforamento. Se quindi a fine 2011 un Comune sarà andato oltre il Patto di stabilità per una cifra pari a 300 mila euro, l’anno successivo esso subirà un decurtamento dei trasferimenti pari a 300 mila euro che si andrà a sommare ai tagli già previsti dalla manovra finanziaria.

I VINCOLI –
La nuova normativa prevede poi tutta una serie di vincoli atti a congelare la spesa degli enti locali: misure come riduzione dei compensi per gli apparati politici e amministrativi, taglio dei rimborsi spesa e degli esborsi per le consulenze, divieto di cumulo delle indennità per i politici con doppio incarico, divieto di trasferimenti in favore delle società con bilanci in rosso, blocco delle assunzioni per i Comuni nei quali il monte degli stipendi per gli impiegati supera il 40% della spesa corrente, divieto di costituire società partecipate per i Comuni inferiori a 30 mila abitanti.
Il nuovo Patto di stabilità si sostanzia dunque in un mix di tagli e di vincoli, con relative sanzioni, che hanno l’obiettivo ridurre i costi all’interno degli enti locali; i tagli però sono orizzontali e non sembrano bilanciati da un altrettanto robusto apparato di premialità che spinga gli enti ad affiancare all’abbattimento delle spese correnti un’adeguata politica di investimenti per il futuro.
Al di là delle valutazioni, il dato di fatto è che i Comuni non potranno tergiversare oltre e dovranno immediatamente rimboccarsi le maniche per cominciare a ridurre i costi dei propri apparati.
 

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