Elezioni, dimissioni di Fini e Berlusconi - QdS

Elezioni, dimissioni di Fini e Berlusconi

Carlo Alberto Tregua

Elezioni, dimissioni di Fini e Berlusconi

mercoledì 22 Settembre 2010

Campagna elettorale senza privilegi

Il nauseante teatrino del mese di agosto dove tanti attorucoli hanno messo in scena una farsa alla Feydeau (Parigi, 1862 – Rueil, 1921) è finalmente finito. Proclami di sfracelli,  vendette e ritorsioni, in altri termini di comportamenti anti-istituzionali, hanno ceduto il posto ad un poco di buon senso. E il buon senso impone che il Governo attui il suo programma con la massima urgenza, facendo approvare e mettendo in atto riforme strutturali che diano competitività a questo Paese, tanto arretrato, perché su di esso vivono moltissimi parassiti, sotto forma di corporazioni.
Fino a quando con le riforme non si tagliano i privilegi, o buona parte di essi, rimarranno in pochi ad essere molto ricchi ed in tanti ad essere poveri: una iniquità non più tollerabile.  Il governo Berlusconi ha fatto in questi due anni alcune riforme ed ha varato tre manovre estive mediante le L. 133/08, L. 102/09 e L. 122/10. Manovre che hanno inserito un minimo di rigore nei conti pubblici tagliando un pochino la spesa corrente. Ma esse hanno presentato due difetti: hanno tagliato in modo indiscriminato, penalizzando gli enti virtuosi, ed hanno tagliato poco, appena 25 miliardi, contro gli oltre 80 necessari per riequilibrare i conti. 

Il patron della Lega, Umberto Bossi, spinge per nuove elezioni come se fosse il patron dell’Italia. Bossi ignora, forse perché non l’ha studiata, che la Carta costituzionale affida al Presidente della Repubblica il compito di valutare se in Parlamento vi sia una qualsiasi maggioranza, non importa da chi formata. Solo dopo aver accertato che essa non vi è, potrà procedere allo scioglimento delle due Camere, e non di una di esse come chiede il Senatùr, non si sa sulla base di quale norma.
Verosimilmente, Berlusconi non lo asseconderà. Infatti sta cercando il consenso dei cespugli, cioè di tutte quelle piccole formazioni composte da alcuni deputati, in modo da colmare il vuoto lasciato dal nuovo raggruppamento di Fini, Fli. Questo comportamento non è conseguente alla sfiducia dell’ex leader di An verso il Governo, anzi egli afferma che voterà la fiducia a tutti i provvedimenti del programma del 2008 ed intende completare la legislatura fino al 2013. Il comportamento di Berlusconi invece è teso a fare a meno del gruppo di Fli, per emarginarlo.

 
In ogni caso, la vita di questo Governo è diventata perigliosa e difficile. Ha dovuto accantonare due provvedimenti su cui ha puntato molto facendo due meschine figure davanti all’opinione pubblica: quello sulle intercettazioni e il secondo sul processo breve. In quest’ultimo caso, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha commesso un errore imperdonabile nel non aver portato all’opinione pubblica il fatto che la durata fisiologica di un processo è  già stabilita per legge, e precisamente dalla legge Pinto 89/01, per un periodo massimo di tre anni. Infatti lo Stato è obbligato a risarcire attore e convenuto con una somma di circa 1.000 euro l’anno, in caso di superamento di tale periodo.
Il gioco tra Fini e Berlusconi, però, si incentra su un nodo:la tutela al Premier rispetto ai tre processi che lo vedono imputato (Mills, Mediatrade, Mediaset). Fini darà il suo avallo al relativo scudo se otterrà delle contropartite per sé e per il suo nuovo partito. 

Se tuttavia si andasse alle elezioni in primavera nel 2011 (Berlusconi aveva fissato la data nel 27 marzo) si pone una questione di decenza istituzionale: i due leader, probabilmente in guerra, possono fare campagna elettorale occupando i due vertici istituzionali?
Non sarebbe la prima volta che il primo ministro facesse una campagna per il proprio partito pur essendo presidente del Consiglio. Ma in questo caso non si può chiedere a Fini di dimettersi per la stessa ragione secondo la quale Berlusconi dovrebbe compiere lo stesso atto.
Si tratta di par condicio: o entrambi gestiscono le elezioni fuori dalle cariche istituzionali o entrambi restano al loro posto compiendo con ciò una forzatura delle istituzioni. Certo, non si può pretendere che uno si dimetta e l’altro no, perché questo fatto farebbe pendere il piatto della bilancia a favore di uno piuttosto che dell’altro.
Se tutti ci abituassimo a cercare l’equità nei comportamenti, il buonsenso prevarrebbe, mentre fatti e circostanze si verificherebbero con verità e non falsati da illusioni mediatiche.

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