Sono aspirante la Regione mi assuma - QdS

Sono aspirante la Regione mi assuma

Carlo Alberto Tregua

Sono aspirante la Regione mi assuma

venerdì 24 Settembre 2010
Questa volta trattiamo il tema del lavoro sul piano etico, cioè tenuto conto della necessaria equità che vi debba essere in una Comunità, nella quale i cittadini sono tutti uguali di fronte alla legge ed hanno prima gli stessi doveri e poi gli stessi diritti.
Dal dopoguerra in avanti, i governi nazionali, con la complicità della classe politica meridionale, hanno  violato un importante principio di equità al quale dovevano ispirarsi come  pater familias: distribuire le risorse su tutto il territorio nazionale, in modo da bilanciare il tasso infrastrutturale in tutte e venti le regioni.
Così non è stato, vanificando tutti i miliardi che, sulla carta, sono stati inviati al Sud, ove non sono mai arrivati, perchè intercettati da banditi, sotto forma di imprenditori, politici e burocrati corrotti. Tant’è che, percorrendo il Sud, delle relative infrastrutture non c’è traccia. Per contro, il becero ceto politico meridionale, anzichè fare investimenti in attività produttive, ha aperto le porte della Pa in modo improvvido e incostituzionale.

Sono stati assunti per chiamata diretta e senza concorso i raccomandati delle segreterie politiche, i quali avrebbero maturato il diritto a vedere trasformato il loro contratto a tempo indeterminato.
In questo modo, il ceto politico, oltre a violare gli articoli 1, 3 e 97 della Costituzione, ha violato il principio etico secondo il quale anche coloro che non erano stati raccomandati avevano pari diritto di entrare nella Pubblica amministrazione.
Questo diritto è stato più volte oggetto di decisioni del Consiglio di Stato che ha coniato il termine aspiranti per coloro che possono essere ammessi al pubblico lavoro al pari di  coloro i quali si sono autodefiniti precari.
“Sono aspirante, la Regione mi assuma. Come tale ho il diritto di inviare una domanda con allegato il mio curriculum alla Regione ed al Comune di mia residenza, nonchè ad altri Comuni, per chiedere che la mia abilità profesionale ed i miei titoli vengano valutati al pari di quelli che già lavorano all’interno della Pubblica amministrazione e che non hanno più diritti di me. Non sono cittadino secondario solo per il fatto di non essere stato raccomandato”.

 
“Sono uno fra i 236 mila disoccupati siciliani. Cerco collocazione nel settore privato, ma non vedo perchè non possa partecipare alle assunzioni nel settore pubblico, ripeto al pari di chi c’è già dentro, entrato senza concorso”. Questo è il ragionamento di un disoccupato che contestualmente è aspirante e che ha il diritto di vedersi valutato.
Dall’altra parte della barricata la Regione e i Comuni hanno il dovere, prima di procedere alle assunzioni, di pubblicare un bando o più di uno, nei quali vengano precisate le figure professionali richieste (che dovrebbero derivare dal Piano aziendale dell’Ente). Così facendo, Regioni e Comuni consentono a tutti gli aspiranti di presentare le domande con curricula, in modo da scegliere i migliori, indipendentemente dal fatto che siano dentro o fuori le amministrazioni.
Il ragionamento che andiamo scrivendo è talmente lapalissiano da non capire come vi possano essere uomini politici e dirigenti pubblici che chiudono gli occhi, ignorando colpevolmente e volutamente la Costituzione, le leggi e la giurisprudenza.

Quello che precede è un comportamento deprecabile che portiamo all’attenzione dell’opinione pubblica, in modo che essa sostenga gli aspiranti, che induca la pubblica amministrazione ad un comportamento equo e non discriminatorio nei confronti di coloro che sono fuori le mura. Si potrebbe osservare che così operando si viola l’articolo 97, terzo comma della Costituzione, che impone l’ingresso nella Pa solo mediante concorso pubblico.
Ma perchè, chiediamo a lor signori, fare i contratti ai precari non viola tale dettato costituzionale? E non viola il principio che i cittadini sono tutti uguali, che si trovino dentro o fuori la Pa?Altra osservazione: chi ha lavorato per molti anni negli uffici pubblici avrebbe acquisito competenze. Domanda: ma chi ha validato tali competenze? E come si può affermare che gli esterni non abbiano competenze maggiori e, quindi più diritto di entrare nella Pa rispetto ai precari?
Ci aspettiamo valutazioni serene, che tengano conto degli stessi doveri e diritti.

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