Tasse universitarie, laurearsi da noi costa più che in Toscana - QdS

Tasse universitarie, laurearsi da noi costa più che in Toscana

Liliana Rosano

Tasse universitarie, laurearsi da noi costa più che in Toscana

martedì 05 Ottobre 2010

Uno studio di Federconsumatori ci fa conoscere quanto pagano gli italiani per accedere agli atenei. Gli studenti isolani con il massimo del reddito arrivano a spendere sino a 1433 euro

Palermo – Studiare all’Università in Sicilia costa più che in Toscana nonostante l’offerta didattica e i servizi siano diversi. Ma soprattutto, nonostante il divario tra Nord e Sud esista anche nell’iscrizione universitaria. è la fotografia che emerge dall’ultimo rapporto realizzato da Federconsumatori sugli atenei italiani.
Secondo la ricerca di Federconsumatori: laurearsi al Sud conviene di più. Al Meridione infatti, il fatidico “pezzo di carta” è decisamente più economico rispetto al Nord, dove diventare dottori può costare un patrimonio. Dallo studio (che prende in esame cinque fasce di reddito-tipo) emerge un divario tra le due aree d’Italia: le tasse più care si pagano nelle città settentrionali. Uno studente che appartiene alla fascia di reddito più bassa, fino a 6000 euro, spende il 13,31 in più per iscriversi in una facoltà del Nord. Per chi dichiara il massimo invece, la differenza arriva al 31,92%.
Nell’Isola però le tasse universitarie non sono del tutto economiche rispetto alle altre regioni meridionali, Puglia in testa. In media, gli studenti degli atenei siciliani pagano ogni anno 448,39 euro se appartenenti alla prima fascia, 562,14 se invece inseriti nella seconda fascia. E crescono le cifre se cresce il reddito. Sempre secondo i dati pubblicati da Federconsumatori, gli studenti di Catania e Palermo con un reddito appartenente alla terza fascia devono sborsare 1221 euro e 1440,39 se si rientra nella 4 fascia e infine 1433 per chi ha un reddito massimo.
Differenze non solo tra Nord e Sud ma anche tra gli stessi atenei siciliani. A Catania infatti le tasse universitarie per la prima fascia sono inferiori a quelle stabilite dall’ateneo palermitano (419 euro contro 477 per Catania), anche se le cifre aumentano nell’università etnea per le fasce piu’ alte. Gli studi meno dispendiosi sono invece all’Università “Aldo Moro” di Bari, dove si applica un criterio di merito per calcolare la retta dovuta.
Se uno studente dichiara un reddito minimo, ma ha una media bassa o è in ritardo con gli esami rispetto al piano di studi previsti per il suo corso di laurea, dovrà pagare tasse maggiori rispetto a un collega con lo stesso tenore di vita ma più diligente.
Al secondo posto tra le università meno costose c’e’ l’Università “Alma Mater” di Bologna. Qui gli studenti con un reddito inferiore ai 20mila euro pagano il 55% in meno rispetto alla media nazionale.
Tra le università con molti iscritti, la più cara in assoluto è Parma, in testa alla classifica con una retta di 865,52 euro annui per le facoltà scientifiche e di 740 per quelle umanistiche. Subito dopo c’è Milano.
Per studiare nelle prestigiose università lombarde servono in media da 685 a 789 euro (rispettivamente per le facoltà umanistiche e scientifiche).
Il dossier fotografa la realtà delle famiglie italiane, in base alle dichiarazioni del modello Isee, delineando alcuni paradossi significativi. Risulta ad esempio che gioiellieri, albergatori e macellai (nuclei di seconda fascia con un unico reddito proveniente dal lavoro autonomo) pagano in media una tassa di 535,34 euro annue, cioè una somma pari o addirittura inferiore rispetto a un operaio non specializzato.

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