Patto europeo di stabilità senza sviluppo - QdS

Patto europeo di stabilità senza sviluppo

Angela Carrubba

Patto europeo di stabilità senza sviluppo

giovedì 04 Novembre 2010

Alle origini del contenzioso tra Regioni, Comuni e Stato c’è la necessità di far quadrare i conti pubblici dell’Europa. Per rispettare i vincoli sempre più rigidi del PSC lo Stato penalizza gli strumenti di crescita

“Pacta sunt servanda” (i patti devono essere osservati), è la frase latina che esprime un principio fondamentale del diritto internazionale e del diritto civile. Se a ciò aggiungiamo la definizione del termine “patto” (come riportano i vocabolari italiani): “accordo, convenzione tra due o più parti”, possiamo dedurre che il Patto europeo di stabilità e crescita (PSC) è un contratto che non si può eludere. Costi quel che costi.
I problemi derivanti agli Enti autonomi italiani ed ai loro bilanci dall’osservanza del Patto di stabilità europeo, sono abbastanza evidenti e nell’ultimo anno sono stati all’origine del “contenzioso” tra regioni, comuni e Stato. Ma già durante un convegno organizzato nell’ottobre 2006 a Saint-Vincent dalla Regione Valle d’Aosta, tutti i temi oggi drammaticamente sul tappeto erano già ben delineati: tagli ai bilanci regionali, fisco e trasferimento delle risorse Stato-Regioni-Enti locali (soprattutto le Autonomie speciali), impossibilità di avere certezze sul “se, quanto, quando e in quanto tempo” i fondi arrivino  con conseguenze a cascata sulle certezze della programmazione della politica economica locale.
Gianfranco Postal, dirigente generale del dipartimento Affari e Relazioni istituzionali della Provincia autonoma di Trento, nella sua relazione espose con chiarezza i nodi diventati oggi irrisolvibili: “Il cammino del Patto di stabilità e dei suoi vincoli e degli effetti sulle manovre finanziarie dello Stato e quindi sui nostri bilanci cominciano ben prima del 1999, anno in cui è iniziato il Patto di stabilità interno vero e proprio; poiché sono cominciate ancora col Sistema Monetario Europeo, agli inizi degli anni ’90, dal quale l’Italia dovette nel ’92, drammaticamente uscire, svalutando la lira. Oltre che svalutare la lira e tante altre cose, una delle misure previste era semplicemente il congelamento del sistema delle entrate delle Autonomie speciali perché si previde la riserva all’erario di tutti gli effetti delle manovre fiscali dello Stato. Per i nostri bilanci voleva dire introdurre l’incertezza più assoluta.
“Nel ’92 – affermò Postal – i presidenti delle autonomie speciali si recarono dai ministri e dissero: “poiché la stabilità e la certezza dei nostri bilanci è il valore che più ci preme allora noi siamo disponibili ad assumerci i nostri carichi nei confronti della finanza pubblica generale, però ci dovete garantire la certezza delle entrate”.
Da allora il Patto di Stabilità interno, che altro non è che la traduzione in termini operativi sui vari livelli settori e centri di spesa all’interno della Repubblica italiana, delle misure che a livello governativo si decidono per arrivare ad un certo risultato, è stato la spada di Damocle sulla testa dei presidenti e assessori regionali.
Il problema qual è? Il problema è che il rispetto dei parametri del Patto  è un risultato che si ottiene attraverso un mix di strumenti che sono di contenimento della spesa corrente e di quella in conto capitale, sottintendendo che la spesa corrente sia comunque negativa e quella in conto capitale comunque positiva. Ma ciò è un errore è perchè l’unica certezza della spesa in conto capitale è che genera ulteriore spesa corrente.
Luciano Caveri, presidente sino al 2008 della Regione Autonoma Valle d’Aosta, nello stesso convegno sintetizzava ed elencava le difficoltà pratiche cui si trovano di fronte le regioni, soprattutto quelle a Statuto speciale.
“Devo dire – affermava – che nei confronti del Patto di stabilità si nota una specie di buco nero che continuiamo a subire e questo è dato dalla mancata adozione del Trattato Costituzionale europeo. Il Patto di stabilità è rimasto lì appeso assieme al complesso delle normative comunitarie. Questa mancanza, che è veramente gravissima, ci porta di fronte a una congerie enorme di trattati.
“Le norme di attuazione nascono perché sono un elemento di garanzia in quanto, passando attraverso delle commissioni paritetiche, in qualche maniera aumentano la tutela e non è detto che una norma di attuazione debba essere rigida: si possono studiare dei meccanismi che la rendano flessibile, ma non si può derogare a questo principio”.
E cosa ha fatto l’Europa l’abbiamo sintetizzato nella colonna accanto: “raccomandazioni” (una l’anno) e da ultimo un regolamento. Le une e l’altro sostanzialmente ribadiscono il rispetto dei vincoli di sempre ricordando che “Il patto mira ad assicurare una gestione sana delle finanze pubbliche nell’area dell’euro al fine di evitare che una politica di bilancio lassista di uno Stato membro penalizzi gli altri Stati membri, tramite i tassi di interesse, e mini la fiducia nella stabilità economica dell’area dell’euro. Esso mira ad assicurare una convergenza continua e duratura delle economie degli Stati membri dell’area dell’euro” .
Come dire “Pacta sunt servanda”!
 

 
Da tre a sei: come l’Eurozona ha stretto il Patto di stabilità verso una crescita senza rischi e sforamenti
 
Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato dai paesi membri dell’Unione Europea, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione Economica e Monetaria europea (Eurozona).
Come previsto dal Trattato di Maastricht, si attua attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché un particolare tipo di procedura di infrazione, la Procedura per Deficit Eccessivo (PDE), che ne costituisce il principale strumento. Stipulato nel 1997, il PSC ha rafforzato le disposizioni sulla disciplina fiscale nella UEM di cui agli articoli 99 e 104, ed è entrato in vigore con l’adozione dell’euro, il 1º gennaio 1999.
In base al PSC, gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, hanno deciso di adottare l’euro, devono continuare a rispettare nel tempo quelli di ordine fiscale, ossia:
    1. un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL;
    2. un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico tendente al             rientro)
A tale scopo, il PSC ha implementato la PDE di cui all’articolo 104 del Trattato, la quale nello specifico consta di tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione. Se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3% del PIL, la Commissione europea propone, ed il Consiglio dei ministri europei in sede di Ecofin approva, un "avvertimento preventivo" (early warning), al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto. Se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso viene sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo. Se, invece, lo Stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non viene portato sotto il limite del 3%.
Il primo early warning fu proposto dalla Commissione e approvato dall’Ecofin nel 2001 contro l’Irlanda. L’Italia ha subito una PDE nel 2005, chiusa senza sanzioni nel 2008 per l’avvenuto rientro del deficit entro i parametri e per la tendenziale diminuzione del debito pubblico.
Da più parti si è sottolineata l’eccessiva rigidità del Patto ed in passato anche l’allora Presidente della Commissione, Romano Prodi, definì il Patto "inattuabile" per la sua rigidità, sebbene ritenesse comunque necessario, sulla base del Trattato, cercare di continuare ad applicarlo. Nel marzo 2005, quindi, in risposta alle crescenti perplessità, l’Ecofin decise di ammorbidirne le norme per renderlo più flessibile. Decisione richiamata e ribadita dall’asse franco-tedesco nel 2008 per far fronte alla gravissima crisi finanziaria che ha investito i mercati e le economie di tutto il mondo in seguito alla cosiddetta crisi dei mutui americana del 2006.
Ulteriori istanze di riforma, nel senso di sospendere il diritto di voto dei paesi che non rispettassero i propri obblighi di bilancio, sono state manifestate in particolare dalla Germania, in occasione degli aiuti stanziati dai paesi dell’Eurozona per la grave crisi finanziaria della Grecia nel maggio 2010.
Per rafforzare la governance economica dell’UE, il 30 settembre 2010 la Commissione europea ha adottato un pacchetto legislativo che con le più profonde modifiche introdotte dal lancio dell’Unione economica e monetaria:
1) Regolamento di modifica della normativa alla base della parte preventiva del patto di stabilità e crescita (regolamento 1466/97)
La parte preventiva del patto di stabilità e crescita mira ad assicurare che gli Stati membri dell’UE attuino politiche di bilancio prudenti nei periodi favorevoli al fine di costituire le necessarie riserve per i periodi sfavorevoli. Per rompere con la prassi del passato, spesso piuttosto "elastica" nei periodi di congiuntura favorevole, il controllo delle finanze pubbliche si baserà sul nuovo concetto di una politica di bilancio prudente, che dovrebbe assicurare la convergenza verso l’obiettivo a medio termine. La Commissione può rivolgere agli Stati membri dell’area dell’euro un avvertimento in caso di deviazione significativa da una politica di bilancio prudente.
2) Regolamento di modifica della normativa alla base della parte correttiva del patto di stabilità e crescita (regolamento 1467/97)
La parte correttiva del patto di stabilità e crescita mira a evitare gravi errori nelle politiche di bilancio. Il regolamento viene modificato in modo che l’andamento del debito venga seguito più da vicino e trattato alla stessa stregua dell’andamento del disavanzo. Gli Stati membri il cui debito supererà il 60% del PIL dovranno adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente (riduzione di 1/20 della differenza rispetto alla soglia del 60% nel corso degli ultimi tre anni).
3) Regolamento sull’effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell’area dell’euro
Queste modifiche riferite sia alla parte preventiva che alla parte correttiva del patto di stabilità e crescita prevedono una serie di nuove sanzioni finanziarie progressive a carico degli Stati membri dell’area dell’euro. Per quanto riguarda la parte preventiva, i paesi che si allontaneranno in maniera significativa da una politica di bilancio prudente si vedranno imporre l’obbligo di costituire un deposito fruttifero. Per quanto riguarda la parte correttiva, l’avvio di una procedura per disavanzi eccessivi nei confronti di un paese farà scattare l’obbligo di costituire un deposito non fruttifero pari allo 0,2% del PIL, che verrà convertito in un’ammenda in caso di non osservanza della raccomandazione di correggere il disavanzo eccessivo. Per assicurare l’osservanza delle norme, è stato previsto un "meccanismo di voto al contrario" per l’imposizione delle sanzioni: la proposta di sanzione presentata dalla Commissione verrà automaticamente considerata adottata, a meno che il Consiglio non la capovolga a maggioranza qualificata. Gli interessi maturati sui depositi e sulle ammende saranno distribuiti tra gli Stati membri dell’area dell’euro il cui bilancio non sia in disavanzo o in squilibrio eccessivo. Il fine ultimo di queste modifiche è agevolare – in un secondo momento – il passaggio ad un sistema di controllo dell’osservanza delle norme collegato al bilancio dell’UE.
4) Nuova direttiva relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri
Dato che la politica di bilancio è decentralizzata, è essenziale che gli obiettivi del Patto di stabilità e crescita si riflettano nei quadri di bilancio nazionali (sistema contabile, statistiche, prassi in materia di previsioni, norme di bilancio, procedure di bilancio e rapporti di bilancio con altri organi, quali le autorità locali o regionali). La direttiva fissa i requisiti minimi che dovranno essere rispettati dagli Stati membri.

5) Nuovo regolamento sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici

La procedura per gli squilibri eccessivi è un nuovo elemento del quadro di sorveglianza economica dell’UE. Essa prevede una valutazione dei rischi derivanti dagli squilibri effettuata a scadenze regolari e basata su un quadro di riferimento composto da indicatori economici. Sulla base della valutazione la Commissione potrà avviare un riesame approfondito riguardante gli Stati membri a rischio. Per gli Stati membri che presentano gravi squilibri o squilibri che mettono a rischio il funzionamento dell’UEM, il Consiglio può adottare raccomandazioni e avviare una "procedura per gli squilibri eccessivi". Uno Stato membro nei confronti del quale sia stata avviata una procedura di questo genere dovrà presentare un piano di azione correttivo, che verrà esaminato dal Consiglio, il quale fisserà un termine per l’adozione di misure correttive. La ripetuta mancata adozione di misure correttive espone lo Stato membro dell’area dell’euro interessato a sanzioni (cfr. il punto successivo).
6) Regolamento sulle misure per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell’area dell’euro
Come avviene in materia di bilancio, lo Stato membro dell’area dell’euro che ometta ripetutamente di dare seguito alle raccomandazioni del Consiglio formulate nel quadro della procedura per gli squilibri eccessivi dovrà pagare un’ammenda annua pari allo 0,1% del proprio PIL. L’ammenda potrà essere bloccata solo con voto a maggioranza qualificata ("voto al contrario", cfr. sopra) degli Stati membri dell’area dell’euro.
Le proposte esaminate dal Consiglio, dal Parlamento europeo e dal Comitato economico e sociale, entreranno in vigore a partire da gennaio 2011.

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