Per chi la munnizza è come l’oro - QdS

Per chi la munnizza è come l’oro

Rosario Battiato

Per chi la munnizza è come l’oro

martedì 09 Novembre 2010

Sprechi. Le cause dei buchi nei bilanci delle Ato.
Il buco. Le 27 Ato Spa, che, nonostante la legge di riforma 9/2010, continuano a gestire la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti in Sicilia, hanno accumulato 800 milioni di debiti.
Concause. Alto numero di dipendenti assunti perché gli ambiti sono Spa; l’insufficiente raccolta differenziata; i viaggi per trasportare i rifiuti in discariche molto distanti. Un sistema da azzerare.

PALERMO – Un futuro ancora incerto e la necessità di agire nella contingenza. Questo il riassunto dello stato siciliano della gestione dei rifiuti, sospeso tra l’attesa del parere del ministero dell’ambiente sull’aggiornamento del piano e l’impellenza di una crisi che sta danneggiando l’Isola e i suoi abitanti.
Sul tavolo dell’emergenza spicca la questione impiantistica perché distante dalle esigenze di uno smaltimento di tipo moderno e malamente dislocata sul territorio. Il risultato si riproduce in tariffe in discarica assai variegate e in uno spreco che vale sia per gli investimenti destinati all’emergenza sia per i mancati incassi in termini di bonus per la differenziata. Su tutto le oscure infiltrazioni mafiose che non solo gestiscono parte degli impianti ma anche i trasporti della “monnezza” isolana.
 
In Sicilia sono giorni di fremente attesa per la risposta dal ministero dell’Ambiente in merito all’approvazione degli aggiornamenti del Piano Rifiuti del 2002. A distanza di otto anni, da una gestione commissariale all’altra, da Cuffaro a Lombardo, adesso l’emergenza isolana, se non venisse domata per tempo, potrebbe degenerare e ridurre la regione al livello della Campania. Si prova ad evitare il peggio, ma per uscire dalla crisi sarà necessario investire su un’impiantistica provinciale al momento assente, bisognerà ridurre i tempi di trasporto date le tariffe variegate delle discariche e attivare servizi di raccolta porta a porta per accrescere la differenziata. Inoltre, le emergenze costano allo Stato, e di conseguenza ai cittadini, sia in termini di risorse spese per tamponare l’emergenza sia in termini di risorse non godute sulla base dei premi pecuniari che ogni regione può ricevere per il funzionamento del suo sistema di gestione dei rifiuti.
L’impiantistica dell’Isola è uno dei buchi neri del sistema, infatti non è un caso se proprio una delle misure previste per uscire dalla fase emergenziale riguarda l’avviamento di “una ricognizione puntuale di campo sull’impiantistica esistente, sulle condizioni operative e sulle necessità di adeguamento funzionale”. Una ricognizione che, secondo quanto riportato dalla proposta di relazione della Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, appare allarmante in quanto “la capacità impiantistica di trattamento degli RSU (esclusi i centri di selezione e raccolta) era limitata al 2007 a sette impianti di compostaggio (capacità di circa trecentomila tonnellate all’anno), due impianti di trattamento meccanico e biologico (capacità centodiecimila tonnellate all’anno) ed un impianto di incenerimento (capacità diciottomila tonnellate all’anno)”.
La fase emergenziale non ha mai prodotto una rete impiantistica degna, gravando di fatto in termini di costi sul sistema Ato. E le conseguenze sono ben note: nel 2010 i debiti maturati dalle Ato sono stati pari 800 milioni di euro, cioè il doppio del debito nel 2008 (la commissione d’inchiesta della precedente legislatura l’aveva quantificato in 430 milioni di euro). Chiaramente hanno concorso una serie di fattori, tra cui quello essenziale del personale, ma anche l’interesse della criminalità che, secondo le audizioni registrate dalla commissione parlamentare, “si manifesta nel controllo, diretto o indiretto, sfruttando anche connivenze e complicità di amministratori pubblici, delle attività del settore, non solo di quelle principali (quali la gestione di discariche) ma anche di quelle accessorie (quali il trasporto, la fornitura dei mezzi d’opera, le attività di manutenzione dei mezzi)”.
Solo un esempio: la raccolta e il trasporto dei rifiuti gestito dalla famiglia mafiosa del boss Vincenzo Virga nel trapanese, che possedeva anche una discarica attraverso una serie di società di prestanome. Proprio in tal senso il tariffario regionale delle discariche appare assolutamente variegato passando da 59 euro per tonnellate della discarica di Catania a 109,5 euro per tonnellata di Trapani. Gli ispettori della Regione sono al lavoro per scovare le cause di queste differenze di tariffazione così evidenti, ma ad una prima analisi Silvia Coscienza, dirigente dell’Osservatorio dei rifiuti della Regione, ha spiegato come proprio i trasferimenti dei rifiuti da una provincia all’altra siano determinanti nella definizione delle differenti tariffe.
Le distanze tra i comuni e gli impianti testimoniano la strategicità delle ditte di trasporto: 23 comuni a 100 chilometri di distanza dagli impianti, 69 comuni si trovano ad 80 km, 88 comuni a 60 chilometri, 98 comuni a 40 chilometri. In questo gioco allo spreco c’è anche da riflettere sull’incredibile mole di contributi che l’Isola ha pietosamente mancato negli ultimi anni come bonus per la differenziata. Un esempio serve ad inquadrare la situazione: a fronte di 89.472 ton. di “frazione secca” proveniente dalla R.D. prodotta nell’intera regione, e conferita al Conai nel 2006, lo stesso ha trasferito ai convenzionati complessivamente € 3.454.057, un contributo sostanzialmente pari a quello percepito per il medesimo anno dalla sola Città di Torino. Secondo una stima di massima inoltre i comuni siciliani perdono circa 14 milioni di euro di corrispettivi messi a disposizione dal Conai.
 


Tra i più cari d’Italia. I comuni scelgono la via più facile: aumentare i canoni
 
PALERMO – Nei mesi scorsi le cronache sono state piene della rincorsa all’aumento che ha investito la Tarsu dei comuni isolani. A settembre scorso i sindacati di Misilmieri hanno stimato un aumento del 115% della Tarsu 2010, a Palermo nel 2006 era stato sancito un aumento del 75% poi spostato al 54% nel giugno scorso, e ancora l’80% dell’aumento a Marsala (anche se in questo caso il Tar ha accolto la domanda di sospensione). Ma la crescita delle tariffe è un affare ormai generalizzato. Nell’Isola infatti, secondo quanto riporta l’ultimo dossier rifiuti di Cittadinanzattiva dell’aprile 2010, a Siracusa la spesa annua per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ammonta a  407€, il quadruplo della città meno cara d’Italia, Reggio Calabria (95€). Ma ci tre siciliane tra le dieci più care d’Italia: Siracusa  407 €, (Tarsu), Caserta  393 € (Tarsu), Catania   365 € (Tarsu), Salerno   356,5 € (Tarsu), Roma  337 € (Tia) Agrigento 333 € (Tia), Taranto 322 € (Tarsu), Latina  311 € (Tia), Trieste  309 € (Tarsu). Livorno 309 € (Tia).

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