L’intreccio perverso tra economia e mafia - QdS

L’intreccio perverso tra economia e mafia

Carlo Alberto Tregua

L’intreccio perverso tra economia e mafia

mercoledì 10 Novembre 2010

La burocrazia tiene il sacco

Le inchieste giudiziarie che si stanno concludendo e che si sono concluse, portano all’opinione pubblica una evidenza incontrovertibile: la corruzione nella Cosa pubblica è in espansione forse più che nell’epoca di Mani pulite. La constatazione che precede ci fa risalire a due cause principali: la prima riguarda la questione morale. Senza l’utilizzo costante dei valori etici, nessun ceto sociale ha punti di riferimento. In primis, quello politico, che dell’etica dovrebbe fare la propria bandiera. Non che fra gli uomini politici non ve ne siano onesti e capaci, tutt’altro. Ma non sono in maggioranza, che invece è composta o da corrotti o da incapaci o da corrotti e incapaci.
La questione morale riguarda anche la pubblica amministrazione che è allo sbando perché non ha punti di riferimento. Seppure, in Italia, esista la divisione fra l’azione politica di indirizzo e l’azione amministrativa di esecuzione, spesso, vi è confusione voluta fra i due modi di agire. Per cui, la politica s’intromette nell’amministrazione e quest’ultima subisce passivamente l’indebito ingerimento.

La seconda causa riguarda la mancanza di controlli sistematici, effettuati in tempo reale. è vero, vi sono tanti controlli formali, forse troppi, ma nessuno di essi è efficace perché non fa evidenziare le illegalità e le inefficienze. In tutte le democrazie avanzate vi è un sistema di controllo della Cosa pubblica tassativo e funzionante, giorno per giorno, che provvede a monitorare il buon funzionamento delle procedure e il perseguimento costante degli obiettivi. Una macchina pubblica che non controlli con tempestività i risultati è solo una macchina mangiasoldi.
Mancando i controlli di merito e tempo, è ovvio che imprenditori disonesti approfittino delle falle per arricchirsi indebitamente, magari lamentano un ritardo dei pagamenti come fosse la giustificazione delle tangenti erogate. L’intreccio fra economia e mafia avviene proprio perché è venuta meno la certezza del diritto, sostituita dalla certezza degli abusi da parte di chi è più forte in danno di chi è più debole.
Colpire i patrimoni della criminalità organizzata è la strada indicata dal prefetto Dalla Chiesa ad inizio anni 80 ed ora che il ministro Maroni ha stretto le maglie, i risultati vengono e si ha notizia che togliendo le risorse finanziarie la criminalità si affloscia.

 
Viene comunemente stimato in 120 miliardi il giro d’affari delle varie mafie, le quali operano ove c’è danaro non dove c’è povertà. Per cui va ribaltata la supposta situazione di grande mafia esistente in Sicilia. Essa c’è, sia ben chiaro, ma il maggior giro d’affari è nella Borsa di Milano attraverso società gestite dai paradisi fiscali.
L’intreccio tra economia e mafia è favorito dalla strafottenza e dall’incuria dei pubblici amministratori. è notizia di questi giorni che la GdF ha scoperto 400 statali doppiolavoristi, alcuni dei quali guadagnavano 100 mila euro,  che hanno arrecato danno all’erario per oltre 11 milioni. L’incuria dei pubblici amministratori (politici e burocratici), aiuta la creazione di reddito sommerso, che oggi viene stimato in 275 miliardi di euro, il che comporta imposte non riscosse per circa 125 miliardi di euro.
È vero che l’Agenzia delle Entrate e la GdF probabilmente recupereranno quest’anno circa 10 miliardi (un notevole successo), ma questa cifra è ben lontana dall’effettiva evasione.

Evasione che si potrebbe combattere qualora tutti i meccanismi di controllo fossero precisi perché effettuati in modo informatico, semplificando al massimo i passaggi, concentrando i controlli in pochissimi centri e obbligando i burocrati a rilasciare tutte le autorizzazioni richieste da cittadini ed imprese in un tempo massimo di 30 giorni, pena la rescissione del contratto.
Questo è un altro punto fondamentale. Le sanzioni dei dirigenti. Vanno premiati quelli che raggiungono risultati e sanzionati sino al licenziamento quelli che si comportano in modo burocratico senza tener conto della necessità di portare fieno in cascina.
Il non dimenticato Gino Bartali diceva: “è tutto da rifare”. Non bisogna essere nichilisti, perché vi sono tante cose nel nostro Paese che funzionano bene, ma sono nel settore privato. Anche in quello pubblico vi sono delle isole di eccellenza, però è il sistema nel suo insieme che fa acqua. Non occorrono eroi, bensì professionisti che facciano con coscienza e continuità il proprio lavoro guardando all’interesse generale che deve essere sempre anteposto a quello personale. Non è facile ma si può fare.

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