Come lo Stato ha fregato la Sicilia - QdS

Come lo Stato ha fregato la Sicilia

Maria Rosaria Mina

Come lo Stato ha fregato la Sicilia

giovedì 11 Novembre 2010

L’inganno. Lo Statuto reso “carta straccia” dallo Stato.
Redditi di lavoro. Il contributo dallo Stato alla Regione, ex art. 38, è stato pensato per bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella Regione in confronto alla media nazionale.
La Consulta “ammazza-statuto”. “Il contributo, per quanto costituisca obbligo costituzionale, non è vincolato nè per l’ammontare nè per le modalità di erogazione” (sentenza n. 87/1987).

“Lo Statuto venne concesso dallo Stato italiano unificato col proposito di renderlo carta straccia, di annullarlo pezzo per pezzo”. Le parole del senatore Ludovico Corrao in occasione della festa dell’Mpa a Catania a fine settembre, cadono proprio a fagiolo per la nostra inchiesta di oggi, nata dall’analisi della Relazione sulla situazione finanziaria della Regione, presentata a metà ottobre dall’assessore all’Economia, Gaetano Armao, alla seconda Commissione dell’Ars. Lo Stato ci ha lasciato “in mutande”, come ironizza la vignetta sulla prima pagina di oggi, visto che dal 1990 ad oggi ha abbassato i trasferimenti che ci doveva a titolo di solidarietà nazionale da una media di circa due miliardi l’anno ad appena 270 milioni di euro l’anno. Fregandosene dei nostri più bassi redditi da lavoro e nonostante l’art. 38 sia una norma costituzionale.
 
“La situazione finanziaria della Regione Siciliana si presenta difficile e critica”. Lo ribadisce Gaetano Armao, assessore all’Economia, che esponendo la questione ai componenti della Commissione Bilancio all’Ars, si appella al senso di responsabilità della classe politica. E a tal proposito chiarisce che si tratta di una situazione storicamente caratterizzata da un livello di spesa consolidata nettamente superiore alle risorse effettivamente acquisibili, come del resto dimostrano i dati rilevati nell’arco temporale tra il 1965 ed il 2008: fatta eccezione per qualche anno, i livelli degli impegni sono sempre stati superiori  alle somme accertate. Una condizione che ha generato il carattere strutturale del deficit di competenza.
In verità sulla condizione debitoria della Sicilia ha influito, anche, il divario tra l’andamento delle spese correnti e quelle in conto capitale maturato tra gli anni 1985-2009. Ma in questo caso la Regione Sicilia è responsabile solo a metà, dato che la forte contrazione dei trasferimenti statali l’ha costretta, a partire dal 1990, a sopperire con fondi propri, impegnandoli in importanti settori, come la sanità pubblica. Tale aspetto è chiarito nella relazione redatta dagli uffici del Bilancio lo scorso 14 ottobre: “Dalla seconda metà degli anni ‘90 sono cessati, inoltre, gli ingenti trasferimenti effettuati dallo Stato, a titolo di contributo di solidarietà nazionale ex art. 38 dello Statuto, destinate a finanziare spese in conto capitale al fine di incrementare il PIL regionale”. La drastica riduzione si evince dai valori sulle risorse effettivamente trasferite ed accertate al 2009, trasmesse dagli uffici del bilancio dell’assessorato all’Economia (vedi tabella in basso).
Nel periodo che va dal 1985 al 1989 i trasferimenti medi annui erano di circa 1.800 milioni di euro; le risorse, con il susseguirsi degli anni, sono confluite nelle casse regionali sempre più parcellizzate, tanto da raggiungere la soglia minima di 404 mila euro nel 1998; dal 1999 le risorse si azzerano, per quattro anni di seguito, influendo notevolmente sui valori medi annui, che dal 1990 al 2010, si sono ridotti di circa un sesto, fermandosi a 268 milioni di euro.
Ne è derivato un contenzioso tra Stato e Regione, avviato attraverso due ricorsi del Presidente della Regione Sicilia, rispettivamente nel 1982 e nel 1992. Con il primo la Regione Sicilia impugna l’art.1 della L.N. 11/82 che dispone una taglio di 25 mila milioni di lire dai contributi ex art. 38. Il secondo ricorso riguarda l’art.2, L.N. 415/92, che riduce ulteriormente i trasferimenti; in entrambi i casi per la Corte Costituzionale il giudizio è negativo. La sentenza n.87/1987 ha fissato alcuni principi sui contenuti della solidarietà nazionale: in primo luogo il contributo, per quanto costituisca un obbligo costituzionale, non è vincolato sia per quanto riguarda l’ammontare che le modalità di erogazione, ad alcuna garanzia costituzionale; inoltre l’adozione di eventuali dati di riferimento ed i successivi aggiornamenti sono rimessi all’apprezzamento dello Stato consistente in una valutazione non meramente ricognitiva e vincolante della modificazione degli elementi del computo; è escluso qualsiasi obbligo di intesa tra Stato e Regione, nella determinazione del contributo; ed infine, rispetto agli importi, i tempi e le modalità di determinazione del contributo, non sono opponibili da parte della Regione considerazioni connesse con la turbativa o il pregiudizio agli equilibri del bilancio regionale che possano discendere da riduzioni nell’ammontare del contributo.
La sentenza 369/92 non è che la conferma del giudizio già espresso in precedenza. Dal testo della sentenza, inoltre, si chiarisce: “l’ulteriore riduzione degli accantonamenti per il contributo di solidarietà è frutto di una valutazione non irragionevole del legislatore statale, in quanto riflette l’urgenza di arginare l’espansione del deficit pubblico senza alterare la complessiva rispondenza tra bisogni fondamentali della Regione e mezzi finanziari per farvi fronte”. Una valutazione che se da un lato rafforza l’indiscussa discrezionalità del contributo statale, dall’altro scalfisce il riconoscimento dell’autonomia speciale della Sicilia da parte dello Stato.   
 


Conf. Stato-Regioni. Federalismo: decreti da rivedere
 
Lo scorso 4 novembre l’assessore Gaetano Armao è stato inviato alla riunione indetta dalla Conferenza Stato-Regioni in merito all’attuazione del federalismo, a chiusura della quale ha chiarito: “L’attuazione del federalismo cosi’ come il governo nazionale la sta avviando, e’ contro il Sud. Non e’ questo il federalismo delineato dalla legge delega, quello compatibile con lo Statuto siciliano. I decreti proposti, infatti, violano la legge delega e gli Statuti speciali delle Regioni in quanto estendono l’applicazione alle Regioni a Statuto speciale, non quantificano la perequazione fiscale ne’ i livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni e prescindono del tutto dal definire le misure di perequazione infrastrutturale. Chi afferma il contrario – conclude l’assessore all’Economia – tende a eludere le censure mosse da tutte le Regioni e anche quel che ha indicato, con chiarezza, il Parlamento siciliano con un ordine del giorno approvato all’unanimita’, sulle condizioni per un federalismo equo e solidale”. Proprio oggi è prevista una nuova seduta.
 

 
Alta corte sulla carta svuotata dal 1957
 
Disciplinata dall’art.24 dello Statuto, l’Alta Corte della Sicilia rappresentava un’autentica roccaforte per l’autonomismo isolano.
Organo supremo istituito nel 1947, le sue competenze non si limitavano ai conflitti tra Stato e Regione, ma con un raggio d’azione più vasto, al vaglio del suo giudizio confluivano le leggi emanate dall’Assemblea siciliana e dallo Stato, ed ancora l’attività svolta dal Presidente della Regione e dei membri del Governo, qualora fossero accusati di reato.
A soli 10 anni dalla sua istituzione la Corte Costituzionale emise la sentenza n. 38/57, attraverso la quale ha avocato a sé le funzioni dell’Alta Corte. Ne è derivata un’insussistenza dell’organo giuridico siciliano, che svuotato delle sue funzioni, non può più operare a tutela della specialità siciliana. Un atto giuridico che segna uno scacco nel rapporto tra Stato e Regione,  che negli anni si è rivelato sempre più lesivo dello Statuto. Basti pensare all’art. 27 dello Statuto, che istituisce il Commissario dello Stato per promuovere i giudizi all’Alta Corte; ebbene, con la sentenza n. 38/’57 il Commissario dello Stato ha come suo  unico referente la Corte Costituzionale.
 In poche parole la Sicilia è l’unica regione ad avere una censura preventiva in via amministrativa da parte di un funzionario dello Stato, nonostante, ironia della sorte, vanti un’autonomia regionale. A ciò si aggiungono le diverse sentenze emesse dalla Corte Costituzionale, che hanno fortemente indebolito la Sicilia, sotto diversi aspetti.
Alle già citate sentenze (n. 87/87 e n. 396/92) che legittimano la contrazione dei contributi statali ex art. 38, vale la pena ricordare tra le più recenti la sentenza n. 115 e la n. 116 del 2010, attraverso le quali si compromettono gli introiti, pari a più di un miliardo di euro,  che il Governo Regionale attendeva dallo Stato, secondo quanto dispongono gli art. 36 e 37 dello Statuto, perché frutto del gettito d’imposte di imprese siciliane che hanno sede legale fuori dal confine isolano.

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