Smascherati i sindaci piagnoni - QdS

Smascherati i sindaci piagnoni

Francesco Torre

Smascherati i sindaci piagnoni

martedì 16 Novembre 2010

Enti locali. Capoluoghi siciliani e “gemelle del Nord”.
Confronto. I grandi Comuni della Sicilia ricevono da Roma e Palermo denaro in quantità superiore rispetto alle città settentrionali con popolazione uguale o addirittura maggiore.
Recuperare e investire. Le amministrazioni virtuose riescono a creare servizi anche intervenendo con attenzione sulla riscossione delle imposte locali.

PALERMO – “Piccoli, neri”… e soprattutto poveri. Si descrivono così, i sindaci, quando piangono miseria per giustificare i risultati amministrativi tutt’altro che brillanti. “Non ci sono soldi” che bastino, e la colpa è sempre “di qualcun altro”. Ovvero, di Stato e Regione che – a detta sempre dei primi cittadini – trasferiscono risorse sempre minori agli enti locali.
Eppure, a spulciare tra i bilanci dei nove Capoluoghi siciliani, si scopre che hanno introiti notevolmente più consistenti rispetto a città omologhe del Nord Italia. Quanto a trasferimenti, infatti, i “nostri” incassano ben 400 mln di euro in più. Per rendere poi al cittadino servizi di qualità obiettivamente inferiore. Eppure, i sindaci continuano con monotonia a dirsi “poveracci”: un alibi che non giustifica la cattiva amministrazione.
 
Sindrome di Calimero. Non sarà un concetto di natura economica riconosciuto in ambito internazionale, ma sicuramente esprime in modo impeccabile l’atteggiamento della nostra classe politica e dirigenziale nei confronti delle istituzioni regionali e nazionali. Dichiarare di essere trattati come “piccoli e neri” (e soprattutto di essere poveri) è infatti diventato l’alibi ormai supercollaudato di ogni sindaco, un leitmoviv, una figura retorica della propaganda mediatica, l’asso nella manica per giustificare qualsiasi nefandezza contabile.
Ad esempio, pochi giorni or sono Mario Briguglio (sindaco di Scaletta Zanclea, comune alluvionato) è stato “pizzicato” insieme con tutta la Giunta e quasi tutto il Consiglio comunale per l’aver autorizzato l’utilizzo di una parte dei fondi donati dai cittadini di tutta Italia alle popolazioni colpite dal nubifragio per acquistare le divise nuove ai Vigili urbani. Interrogato sulla questione da Striscia la Notizia, il primo cittadino ha candidamente replicato: “Non avevamo soldi in cassa. Ma li restituiremo prima possibile”. Ciò ovviamente non lo esenterà dall’essere indagato dalla Procura di Messina per appropriazione indebita e abuso d’ufficio, ma per quel che concerne il nostro discorso l’esempio risulta illuminante perché mette in evidenza tutte le aberrazioni di quella che abbiamo sin qui denominato, ma non ancora descritto, “sindrome di Calimero”.
“Non avevamo soldi in cassa”. Primo assioma della “sindrome”: se non ci sono soldi è perché lo Stato ci ignora, la Regione non ne parliamo! Quante volte abbiamo sentito i sindaci dei Comuni siciliani pronunciare queste parole? Succede ormai quotidianamente. Ciò che però i sindaci dimenticano di dire, per dare il giusto contesto alle affermazioni di cui sopra, è che i trasferimenti che i Comuni siciliani ricevono da Stato e Regione sono di gran lunga, ma di gran lunga superiori a quelli che ricevono i Comuni del resto d’Italia.
“La Sicilia vive in regime di assistenzialismo”, questo al Nord lo ripetono da sempre e la cosa ormai sembra stucchevole, ma cosa replicare ai numeri? Nel 2009 il Comune di Catania (295 mila abitanti) ha introitato 323 milioni di euro di trasferimenti pubblici, la sua “gemella” del Nord, Venezia (270 mila abitanti), 202 milioni, ovvero ben 121 in meno.
Sempre nel 2009, dati ufficiali resi dai Municipi, il Comune di Messina (246 mila) ha ricevuto 150 milioni, l’omologo del settentrione, Verona (260 mila), 47 in meno, ovvero 103 milioni. E la stessa cosa, in proporzioni più o meno ridotte (come tra l’altro è possibile evincere dalla tabella in basso), si verifica anche per i restanti Comuni capoluogo siciliani a confronto con altri municipi italiani con lo stesso numero di abitanti. Per cui: se i Comuni siciliani ricevono 100 e non hanno nemmeno i soldi per comprare qualche divisa ai Vigili urbani, i comuni nel resto d’Italia che ricevono 60 come faranno mai ad avere bilanci in ordine, a garantire servizi al cittadino che in Sicilia sono utopistici, ad arrivare primi nelle classifiche sulla qualità della vita, addirittura ad investire dieci volte quanto investono i nostri comuni in opere pubbliche e infrastrutture?
Houdini non c’entra, e nemmeno il Mago Casanova, per rimanere all’esempio televisivo di cui sopra. Si tratta semplicemente di recuperare sufficienti risorse in house tramite le cosiddette entrate extratributarie, ovvero in concreto: sanzioni per violazioni del codice della strada; utili delle società partecipate; proventi da refezione scolastica, rette e trasferimenti asili nido, rette ricovero anziani; Cosap; attività teatrali, musei e altri proventi da Beni dell’amministrazione.
Tutte voci che potrebbero e dovrebbero garantire una buona capacità di spesa per servizi e investimenti, ma che i nostri sindaci non riescono a far decollare in alcun modo. Esempi?
Potrebbe sorprendervi sapere che mentre il Comune di Monza (121 mila abitanti) alla voce “proventi per uso impianti sportivi” accosta un lusinghiero 701 mila euro, alla stessa voce di bilancio il Comune di Palermo (656 mila abitanti) dichiara di intascare la miseria di 11.686 euro. Per dimostrare come non si tratti di un caso isolato, basti dire che sempre il Comune di Palermo per tutte le entrate extratributarie raccoglie 55 mln di euro, ovvero molto ma molto di meno rispetto a città di dimensioni sensibilmente più ridotte come Verona (60 mln) e Venezia (100 mln). Ed è invece da queste voci che dovrebbero essere recuperati i fondi per le divise dei Vigili urbani, non certo dai 2 euro donati dalle famiglie italiane per dare un tetto agli sfollati del 1° ottobre 2009.

“Li restituiremo prima possibile”.
Secondo assioma della “sindrome”: non hai i soldi? Fai debiti! Non avere risorse in entrata, infatti, si traduce giocoforza annualmente in accensione di prestiti e mutui, e dunque in debiti. Che poi si dovranno pagare l’anno dopo, e quello dopo ancora, e via dicendo in un circolo vizioso che sembra non poter terminare mai. Da un rapido calcolo sui rendiconti 2009 dei nove comuni capoluogo siciliani, andando a sommare i totali delle spese correnti e delle spese per investimenti, ci si accorge che essi non arrivano alla somma di 2 miliardi di euro. Ciò significa che tutto il resto delle spese rendicontate, ovvero più o meno 1 miliardo e 50 milioni, è destinata alla copertura di prestiti e mutui. In pratica i debiti assorbono ormai più di 1/3 (quasi il 35%) delle risorse annuali dei Comuni nostrani. Risorse che vengono dunque sottratte allo sviluppo e al benessere dei cittadini, così come pure alle opere necessarie a garantire condizioni di sicurezza. E quando poi succedono le tragedie, perché le tragedie succedono matematicamente quando non si investe, come successo a Messina con l’alluvione del 2009, il continuo giustificarsi dei sindaci con la favola della mancanza di risorse e lo scaricabarile con gli enti sovracomunali risulta, dati alla mano, ipocrita e semplicistico. O meglio patologico. Da perfetta “sindrome di Calimero”.

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