Diritto allo studio, dovere di studio - QdS

Diritto allo studio, dovere di studio

Liliana Rosano

Diritto allo studio, dovere di studio

martedì 30 Novembre 2010

Università. I cancri degli “atenei” oltre la riforma Gelmini.
Proteste. Mentre montano le proteste per la riforma Gelmini, ci si dimentica del costo sociale degli studenti “parcheggiati” in attesa di laurea. Ecco dove si potrebbero recuperare i soldi per la ricerca.
Sprechi. Anche il personale amministrativo finisce per affossare il sistema. Il loro numero nei quattro atenei isolani supera di circa 1.000 unità quello dei docenti. 537 mln la spesa totale per il personale.

La riforma universitaria non va proprio giù agli studenti italiani che da una settimana protestano da Nord a Sud. Da Torino a Palermo, passando per Napoli, il NO alla riforma Gelmini è gridato all’unisono. E mentre oggi la tanto contestata riforma torna alla Camera per essere discussa, il leader di Fli, Gianfranco Fini, ha dichiarato che voterà la riforma “ perché la trova giusta”. Nella legge 133/08 che la Gelmini ha sintetizzato in 25 articoli suddivisi in tre titoli, tre sono le questioni principali: una nuova organizzazione del sistema universitario, che dovrebbe rilanciare tutto il settore dell’istruzione terziaria; un’ampia delega al governo per mettere in cantiere uno o più decreti su qualità ed efficienza, che dovrebbero rilanciare il merito; e nuove regole sul reclutamento dei docenti e dei ricercatori, che dovrebbero combattere il baronato.
 
Ma i punti controversi sono tanti: dal taglio di 1 miliardo e 400 milioni al sistema universitario, alla diminuzione del 30 per cento delle borse di studio, ad una mancata soluzione del precariato dei dottori di ricerca. Infine, quello che gli studenti contestano è la mancanza di meritocrazia, il potere al baronato e la strada facile verso la privatizzazione dell’università solcata dalla Gelmini.
Allora se è giusto difendere il diritto allo studio, vediamo lo stato dell’università siciliana, partendo dallo stato degli studenti. Se c’è un diritto allo studio, ci deve essere anche un dovere. Questo significa che soldi e risorse devono essere distribuite a chi davvero merita. Uno infatti dei “cancri”, dei punti deboli delle università italiane e siciliane è il sovrannumero dei fuori corso, che non solo bloccano il sistema, fino quasi a paralizzarlo, ma lo rendono poco dinamico e costoso per le casse dello stato. Infatti, partendo dalle quattro università siciliane (Palermo, Messina, Catania, Enna), secondo gli ultimi dati aggiornati a gennaio 2010, su una popolazione di 168 mila studenti, 70 mila sono fuori corso.
Un dato che preoccupa, perché parliamo di oltre la metà degli studenti per cui l’università sembra essere diventata un parcheggio a vita.
Non solo, se pensiamo che gli atenei spendono per ciascun studente un costo standard di 7 mila euro, restando a carico dello studente solo la tassa per il diritto allo studio, il costo complessivo speso nel solo anno 2009 per gli studenti fuori corso siciliani è stato di ben 490 milioni di euro. Soldi che le università potrebbero sicuramente investire su ricerca e borse di  studio e favorire gli studenti meritevoli che riescono a portare a termine il percorso universitario secondo gli anni stabiliti dal proprio corso di laurea.
Altro cancro degli atenei siciliani, italiani in generale, è rappresentato dalla spesa sostenuta per mantenere in vita l’esercito del personale amministrativo. Secondo gli ultimi dati a disposizione (del 2007), gli atenei siciliani hanno speso per il personale docente ed amministrativo ben 537 milioni di euro (emolumenti ed accessori) mentre alla ricerca sono stati destinati soltanto 45 milioni di euro.
L’università etnea ha speso ben 199 milioni di euro per il personale docente e amministrativo. Non resta indietro Palermo che ha destinato 198 milioni di euro per i dipendenti della facoltà. Stesso discorso per Messina (145 milioni di euro) ed Enna (547 mila euro).
Cifre che non incoraggiano di certo e che fanno riflettere sullo stato della riforma. Allora va bene parlare di grandi cambiamenti nell’università italiana ma cercando sempre di razionalizzare la spese e di premiare merito e ricerca anziché destinare gran parte dei fondi alle risorse umane, come il personale tecnico-amministrativo. E mentre gli studenti continuano ancora la loro protesta, occupando aule, luoghi simbolo di questa Italia, in parlamento, la riforma universitaria si incrocia anche con un clima politico di crisi all’interno della stessa maggioranza.
La scorsa settimana, il governo è stato battuto nell’Aula della Camera su un emendamento di Fli su cui l’esecutivo aveva reso parere contrario. L’emendamento, all’articolo 16 di cui è primo firmatario Fabio Granata, è passato con 261 no, 282 sì e tre astenuti e  riguarda l’abilitazione scientifica nazionale che richiede requisiti distinti per le funzioni di professore di prima e di seconda fascia. Ora il futuro dei giovani è in mano alla Camera.

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