Beni confiscati e abbandonati - QdS

Beni confiscati e abbandonati

Alessandro Petralia

Beni confiscati e abbandonati

mercoledì 08 Dicembre 2010

Legalità. Occasioni perdute ed economia pulita.
La realtà. Ci sono quasi cinquemila beni in tutta la Sicilia. Di questi, soltanto il 38 per cento è già utilizzato. Tutto il resto è impigliato tra ritardi e difficoltà amministrative e giudiziarie.
Diminuzione degli sprechi. Ai sensi della legge 109/96, i Comuni possono beneficiare degli immobili per finalità istituzionali: ci sarebbe un notevole risparmio sull’affitto dei locali.

PALERMO – In Sicilia si trova il 45% dei beni immobili sottratti in tutta Italia alla criminalità organizzata: case, appartamenti, terreni, ville, stabilimenti industriali, aziende, per un totale di 4.941 proprietà. Di questi, solo 1.900 (il 38,4% del totale) sono stati destinati e consegnati, cioè sono effettivamente utilizzati per uno degli scopi previsti dalla legge 109/96.
I ritardi burocratici e giudiziari rappresentano una sconfitta anche in termini economici: i beni destinati e consegnati infatti creano circuiti virtuosi. Basti pensare, ad esempio, alle cooperative sociali, alle associazioni che producono servizi, agli stessi enti pubblici che potrebbero disporre per finalità istituzionali di immobili confiscati, con un notevole risparmio sul totale complessivo degli affitti.
 
Sono 4.941 in tutta l’Isola: i beni immobili confiscati alla mafia non rappresentano più una questione marginale per la Sicilia e per il suo bene pubblico, bensì un tema centrale. Entro lo Stretto si trova infatti il 45% dei beni immobili sottratti in tutta Italia alla criminalità organizzata: case, appartamenti, terreni, ville, stabilimenti industriali, aziende che purtroppo sono riutilizzati e quindi valorizzati solo per metà.
A normare la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia è stata la legge 109/96 (e successive modifiche): essa ha disposto che gli immobili sottratti dallo Stato al potere mafioso possano essere trasferiti ai Comuni nei quali sono localizzati, i quali hanno o la facoltà di darli in gestione ad associazioni di volontariato, a cooperative sociali ed in generale del terzo settore per finalità sociali oppure la facoltà di destinarli a finalità prettamente istituzionali: ad esempio per la realizzazione di caserme, scuole, uffici pubblici ed altro.
Dal ‘96 ad oggi molto è stato fatto per l’utilizzazione degli immobili sottratti alla mafia, ma molto ancora resta da fare: a dircelo sono i dati forniti dall’ Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che dall’inizio di quest’anno è subentrata all’Agenzia del demanio nella gestione dei beni sottratti alla mafia.
Dei suddetti 4941 beni confiscati in Sicilia solo 1900 (il 38,4% del totale) sono stati destinati e consegnati, cioè sono effettivamente utilizzati per uno degli scopi previsti dalla legge 109/96: tali beni sono quindi passati da una situazione di inutilizzazione e di incuria ad una in cui vengono effettivamente sfruttati o valorizzati per finalità sociali o istituzionale. E quindi lì dove c’era il terreno di un affiliato ora ci sono onlus o cooperative che li stanno coltivando ricavando i frutti del loro lavoro oppure lì dove c’era un edificio frutto del riciclaggio di denaro sporco oggi ci sono uffici della pubblica amministrazione.
Sono invece 554 (l’11,2% del totale) i beni destinati ma non consegnati in tutta l’Isola: si tratta di quei beni a cui è stata data una finalità e di cui è stato individuato l’uso e l’utilizzatore (associazioni, forze dell’ordine o gli stessi Comuni su cui quei beni ricadono) ma che non sono stati effettivamente consegnati al beneficiario. Situazione spiacevole che si verifica per svariati motivi: tali immobili infatti spesso sono occupati abusivamente, oppure sono oggetto di ipoteca da parte di istituti bancari o molto più spesso si trovano in condizioni disastrose e di inagibilità dopo decenni (tanto quanto durano i processi prima di arrivare al grado di giudizio definitivo) di sequestro e quindi di mancato utilizzo.
Eccezion fatta per le aziende confiscate (514) – la cui gestione risulta particolarmente complessa e che nella stragrande maggioranza dei casi chiudono in pochi mesi – e per quei pochi immobili usciti dalla gestione dell’Agenzia per motivi di altra natura (142), gli altri 1831 beni confiscati alla mafia (37% del totale) sono quelli che presentano le peggiori criticità non essendo né destinati ad alcuna finalità e quindi non consegnati ad alcun ente o associazione del terzo settore.
Ognuno di tali immobili rappresenta una piccola-grande sconfitta per lo Stato in termini di contrasto alla criminalità organizzata: nel territorio su cui insiste, un immobile decadente, malandato, abbandonato è un piccolo emblema dell’incapacità delle istituzioni pubbliche e democratiche di mettere a frutto ciò che invece riusciva a mettere a frutto il potere mafioso, che di quello statale è antagonista.
Ma è una sconfitta anche in termini economici: i beni destinati e consegnati, infatti, creano circuiti economico-sociali virtuosi. Non bisogna dimenticare le cooperative di Libera che sui territori confiscati producono olio, vino, pasta, ortaggi e tanti altri prodotti che immettono nel mercato dei cibi biologici oppure le tante associazioni del terzo settore che sfruttando gli immobili confiscati forniscono servizi di grande utilità: centri di accoglienza giovanile, istituti di recupero dalla tossicodipendenza e tante atre iniziative.
Certo l’anomalia degli immobili abbandonati non è solo siciliana, ma nell’Isola i numeri sono peggiori che nel resto d’Italia: la media nazionale vede infatti il 49% dei beni confiscati già destinati e consegnati e quindi utilizzati, contro il 38,4% siciliano. Allo stesso modo a livello nazionale solo il 26% dei beni confiscati è privo di qualsiasi provvedimento di destinazione contro il 37% siciliano: urge dunque un’implementazione degli sforzi e degli impegni.
 

 
Mario Morcone, direttore Agenzia beni confiscati: nel 2011 una sede a Palermo
Un percorso a ostacoli prima dell’assegnazione
 
PALERMO – Dal sequestro alla confisca e dalla confisca all’assegnazione: quello che compiono i beni confiscati alla mafia prima di divenire disponibili alla collettività è un vero percorso a ostacoli lungo talvolta un decennio. Tanto infatti durano i processi per reati di mafia prima di arrivare al terzo grado di giudizio, periodo nel quale i beni vengono sottoposti a sequestro; solo dopo la condanna definitiva i beni vengono propriamente confiscati, cioè acquisiti dallo Stato. A gestirli per conto dello Stato è l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata istituita con legge n. 50 del 31 marzo 2010 con sede a Reggio Calabria: suo scopo è sostituire l’Agenzia del demanio nella gestione dei beni sequestrati e confiscati e accelerarne i procedimenti di destinazione e consegna dei beni.
Compito arduo, tanto che è aumentato negli anni il numero dei cosiddetti amministratori giudiziari, cioè di coloro che sono nominati per seguire il destino di molti beni confiscati. “Ce ne sono circa 400 – ci spiega il prefetto Mario Morcone, direttore dell’Agenzia –  in tutta Italia. A nominarli sono in prima battuta i tribunali che sequestrano i beni: quando questi passano a noi, ci riserviamo di confermarli o di sostituirli”. Si tratta di figure utili, ma che costano e che quindi pesano sulle casse pubbliche: proprio per questo a Palermo, come a Napoli e Milano, presto sarà attiva una sede decentrata dell’Agenzia per i beni confiscati. Quando aprirà e con quali prospettive? “Palermo – spiega il prefetto Morcone – è la città con più immobili confiscati in tutta Italia e la Sicilia da sola ha il 45% degli immobili confiscati.
è d’obbligo quindi l’apertura di una sede a Palermo, che è già stata decisa dal Cda dell’Agenzia: verosimilmente l’apertura potrà avvenire nel marzo del 2011”. Quanti dipendenti avrà e qale sarà la sua autonomia? “Data la grande quantità di beni – conclude Morcone – la sede di Palermo avrà almeno una trentina di dipendenti e disporrà di tutta l’autonomia necessaria, fermo restando che la direzione centrale resterà qui a Reggio Calabria”.

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