Frane e alluvioni, spesso è prevenzione zero - QdS

Frane e alluvioni, spesso è prevenzione zero

Rosario Battiato

Frane e alluvioni, spesso è prevenzione zero

venerdì 10 Dicembre 2010

Il dossier di Legambiente “Ecosistema a rischio 2010” fotografa lo sviluppo urbanistico spesso avvenuto senza controllo. Due centri, Ravanusa (Ag) e Bolognetta (Pa), agli ultimi posti della classifica nazionale

PALERMO – Non ci sono dubbi: l’Italia è un paese costruito sul cemento che sta rapidamente dilapidando le sue bellezze paesaggistiche trovandosi in uno stato di perenne rischio franoso.
Dopo il dossier di Legambiente “Ecosistema a rischio 2010” che aveva fotografato la realtà nazionale ostaggio di un sistema di sviluppo urbanistico senza controllo, adesso è uno studio della Coldiretti che sottolinea lo stadio di urgenza in cui vive il Paese. Secondo la confederazione nazionale dei coltivatori diretti il 25 per cento delle campagne negli ultimi 40 anni sono state abbandonate o coperte dal cemento: si tratta di un territorio grande come due volte la regione Lombardia per un totale di cinque milioni di ettari equivalenti. Ovviamente si parla di un territorio sottratto all’agricoltura, che interessa oggi una superficie di 12,7 milioni di ettari con una riduzione del 25 per cento negli ultimi 40 anni. Questa “modernizzazione” selvaggia della campagna, che poi è coincisa con la cementificazione senza scrupoli, ha superato di gran lunga le più nere aspettative generando l’abbandono del territorio.
Nel mirino della Coldiretti non troviamo soltanto le ovvie considerazione sulle problematiche legate ai canali di scolo dell’acqua, ma anche l’utilizzo plurimo della terra (agricolo, residenziale, ricreativo, paesaggistico, ambientale) che può provocare conflittualità tra i diversi attori. Una situazione adesso aggravata – secondo il documento della Coldiretti – anche dalla richieste di terreni per gli impianti di energie rinnovabili. Secondo gli agricoltori tra i nuovi fenomeni bisogna prestare particolare attenzione sia alla domanda di terreni per i pannelli fotovoltaici sia la diffusione di aree fertili per impianti agroenergetici con la richiesta di terra da destinare alla produzione di biomassa. Adesso il recente schema di decreto legislativo approvato dal Cdm mette un freno alla speculazione sulle rinnovabili fissando, dopo un anno dall’entrata in vigore, che gli incentivi siano offerti a patto che la potenza dell’impianto non sia superiore a 1 MW e che il rapporto tra potenza nominale e superficie del terreno non sia superiore a 50 kW per ogni ettaro di terreno.
In Sicilia la situazione, per effetto della duplice azione antropica e naturale, non può dirsi migliore del resto d’Italia. Anzi nel territorio isolano si condensano alcune delle criticità più elevate del suolo nazionale: 273 i comuni siciliani a rischio frane o alluvioni, ossia il 70% del totale, secondo l’ultimo rapporto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e Unione Province d’Italia che risale al 2003. A fronte di questo alto rischio i comuni isolani sono i meno attivi nella prevenzione del rischio, sia sul fronte dell’urbanizzazione selvaggia (ad esempio l’integrazione dei Pai, Piano assetto idrogeologico, all’interno dei Prg) che su quello della manutenzione e della delocalizzazione delle strutture dalle aree più a rischio. Non stupisce pertanto che Senigallia, nelle Marche, sia il comune italiano più virtuoso nella prevenzione di frane e alluvioni, secondo la classifica contenuta nel rapporto Ecosistema rischio 2010 di Legambiente, né che Ravanusa e Bolognetta, rispettivamente in provincia di Agrigento e Palermo, siano all’ultimo posto della classifica nazionale. La loro realtà rispecchia il ritardo diffuso nell’Isola.

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