Non torniamo al democristianismo - QdS

Non torniamo al democristianismo

Carlo Alberto Tregua

Non torniamo al democristianismo

sabato 11 Dicembre 2010

Terzo polo, il vecchio della politica

Fra qualche giorno questo nauseante periodo politico, nel quale ognuno tira il lenzuolo dal proprio lato avrà un primo, provvisorio, epilogo. Il 14 dicembre, infatti, il Senato, alle ore 9, voterà la fiducia al Governo Berlusconi e nello stesso giorno la Camera ne voterà la sfiducia. A meno che il Cavaliere, forte della fiducia al Senato, non si rechi dal Presidente della Repubblica per mettere nelle sue mani lo sviluppo della crisi.
Se, invece, il percorso sarà completato, si sarà fotografato uno stallo: né Berlusconi potrà governare, né potrà sorgere un nuovo governo terzopolista con l’appoggio del Pd e di altri. Se questo sarà il fatto, lo stallo vale anche per il suo rovescio, nel senso che il Presidente della Repubblica non potrà affidare ad altri il mandato perché l’incaricato riceverebbe la fiducia alla Camera e la sfiducia al Senato. A questo punto, al Capo dello Stato, non resterebbe che scegliere chi dovesse gestire il periodo transitorio fino alle successive elezioni che, nell’interesse di tutti, dovrebbero essere svolte nei primi mesi del 2011.

Ovviamente si andrebbe al voto con questa legge elettorale, che ha il gravissimo difetto di consentire la nomina dei candidati e di impedire ai cittadini di scegliere i propri parlamentari. Non certamente con il vecchio metodo delle preferenze ma con un sistema maggioritario a due turni. Però questa legge ha il pregio di assegnare il premio di maggioranza e quindi di consentire al popolo di scegliere, prima delle elezioni, la compagine governativa e il suo presidente del Consiglio che dovrebbero governare per tutta la legislatura. Naturalmente è sempre vigente l’art. 67 della Costituzione che dà ampia libertà al parlamentare eletto di cambiare partito, in quanto esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
È importante la scelta del Capo dello Stato. Nella precedente crisi lasciò il compito al presidente del Consiglio dimissionario, Romano Prodi, di gestire l’ordinaria amministrazione. Anche in questo caso, Napolitano dovrebbe lasciare a Berlusconi questo compito. La questione non è di poco conto, perché gestire una campagna elettorale come premier assicura dei vantaggi, peraltro bilanciati dal fatto che anche Fini la gestirebbe come presidente della Camera.

 
Il terzo polo è una iattura, perché è un ritorno al democristianismo, cioè a quel metodo infame secondo il quale i cittadini erano privati del diritto di indicare chi dovesse governarli, mentre correnti, partiti, lobby e corporazioni, vicino al caminetto, si mettevano d’accordo su come spartirsi il potere e conseguentemente le risorse economiche.
Abbiamo subito per 46 anni (1948-1994) questo perverso meccanismo e non vorremmo rivederlo all’opera. Anche perché esso prevede una variabilità di chi compone i governi e una vita molto breve di ciascuno di essi. Ricordiamo infatti che all’epoca della Balena bianca un presidente del Consiglio restava in carica mediamente solo un anno.
In tempi in cui è indispensabile estremo rigore nei conti pubblici, riforme impopolari perché tagliano privilegi, eliminazione di sprechi e di vantaggi delle corporazioni, l’ultima cosa di cui il Paese ha bisogno è l’instabilità. Il democristianismo è instabilità. E siccome i suoi fautori sono proprio Casini, Fini e Rutelli bisogna ricordare all’opinione pubblica che i danni del passato col trio delle Sorelle bandiera (ricordate Indietro tutta) diventerebbero di nuovo di attualità.

Scriviamo questa nota non già perché il trio dei neodemocristiani sia formato da Fini, Rutelli e Casini, perché è la cosa in sé a essere sbagliata, non le persone che la interpretano. Scriveremmo le stesse cose su chiunque altro. Dopo 16 anni di faticoso bipolarismo che non ha, per la verità, espresso la sua potenzialità, ritornare al passato sarebbe un male peggiore.
In ogni caso, la situazione di stallo prima descritta impedirà di eliminare, da questa legge elettorale, la porcata delle nomine dei parlamentari. Oltre 300 di essi sono combattuti fra la paura di perdere la pensione (cui non hanno diritto senza il completamento della legislatura) e la promessa di essere rieletti. Molti di questi peones saranno determinanti per la soluzione di questa crisi.
Infine, non bisogna dimenticare il mercato finanziario, severo censore sul piazzamento di centinaia di miliardi di titoli di Stato.

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