Si chiude un anno difficile per il lavoro. I siciliani ancorati all’idea del posto fisso - QdS

Si chiude un anno difficile per il lavoro. I siciliani ancorati all’idea del posto fisso

Michele Giuliano

Si chiude un anno difficile per il lavoro. I siciliani ancorati all’idea del posto fisso

martedì 28 Dicembre 2010

La disoccupazione giovanile e femminile in Sicilia è oltre il 30 per cento: colpa anche del retaggio culturale. Secondo dati Istat, si contano ad oggi, 315.317 dipendenti pubblici in Sicilia

PALERMO – Siciliani senza lavoro oppure non in grado di voltare pagina e adeguarsi ai tempi? Forse vale più la seconda tesi. Si è rimasti indietro con la mentalità dei nostri padri e forse anche dei nostri nonni che predicavano sempre il posto fisso.
Attaccati alla mammella degli enti pubblici che oggi però, dopo anni di assunzioni selvagge ed incontrollate, si sono ritrovati costretti a chiudere i cordoni. Nel frattempo però si è creato un “mostro”: infatti si contano ad oggi, secondo i dati Istat, 315.317 dipendenti pubblici in Sicilia, cioè vale a dire qualcosa di più del 20 per cento dell’intera forza lavoro. Quindi significa che ogni 4-5 lavoratori ce n’è uno che è impiegato dello Stato, della Regione o di un ente pubblico.
In queste condizioni certamente è difficile riuscire a scardinare anche il muro “culturale” che si è creato del posto “fisso e sicuro”. Nel frattempo però specie tra i giovani si vive una situazione di assoluto imbarazzo: la Sicilia infatti è la regione in Italia con il più alto tasso di disoccupazione giovanile (38,5 per cento). E a confermare che nell’Isola esiste un problema legato comunque ad un certo retaggio culturale, ci sono anche i numeri allarmanti della disoccupazione femminile che ha raggiunto quota 32 per cento. Il siciliano quindi ha difficoltà a “riconvertirsi”, a reinventarsi sul mercato del lavoro anche perché poco supportato dagli enti pubblici. Primo fra tutti la Regione che attraverso le politiche attive del lavoro avrebbe dovuto garantire più spazio ai giovani per un loro inserimento immediato.
Invece i numeri di oggi testimoniano questo fallimento e la conferma arriva anche dalla Corte dei Conti che a più riprese ha parlato di una formazione professionale inutile e sprecona, creata solo per far lavorare in maniera clientelare i formatori. Non a caso in Sicilia troviamo una galassia di 1.400 enti di formazione regolarmente accreditati dalla Regione. Una cifra mastodontica che ovviamente produce un altrettanto mastodontico numero di impiegati: ben 9.200 secondo l’ultimo censimento fatto dal Dipartimento regionale della Formazione professionale.
Tanto per rendere l’idea, in proporzione la Lombardia (che ha il doppio delle imprese operanti rispetto alla Sicilia e quasi il doppio degli abitanti, nda) dovrebbe contare su un sistema formativo molto più massiccio. Ed invece si scopre tutt’altro, come viene riferito dalla stessa Regione del Nord: ad oggi sono 564 gli enti della formazione accreditati che contano su 779 sedi operative, con 3.700 dipendenti. Come appurato in precedenti inchieste dal QdS, tra nuove aperture di industrie e centri commerciali sarebbero in proiezione almeno 22.500 i posti di lavoro che in Sicilia si sono già liberati o si dovrebbero liberare a breve. Il solo franchising (31 i franchisor rilevati dall’Osservatorio permanente di Assofranchising rispetto ai 227 della Lombardia), a pieno regime potrebbe dare occupazione a circa 10.000 persone, basti pensare che per aprire un punto vendita bastano circa 20.000 euro.
 

 
Formazione. Dettate le linee guida del Prof 2011
 
Proprio per dare una decisa inversione di tendenza al dilagare della disoccupazione il nuovo assessore regionale alla Formazione professionale, Mario Centorrino, ha pensato a delle linee guida che possano garantire un inserimento rapido del giovane nel mercato del lavoro. Una delle novità più importanti che riguarderanno il Piano dell’offerta formativa del 2011 sarà quello della proposizione di pacchetti, corrispondenti ai fabbisogni formativi del territorio, comprendenti tre tipologie: industria-artigianato-agricoltura-pesca (20 per cento), servizi/terziario (60 per cento), inclusione sociale e parasanitario (20 per cento). Accanto a questo si porrà fine agli sprechi dei fondi nel settore in modo da garantire un maggior peso finanziario alle attività formative, magari incrementandole anche in base alla richiesta che arriverà dall’utenza interessata. Sulla carta tutto bello.

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