Demanio militare, contenzioso sullo Statuto - QdS

Demanio militare, contenzioso sullo Statuto

Rosario Battiato

Demanio militare, contenzioso sullo Statuto

mercoledì 16 Marzo 2011

La Regione ha proposto ricorso alla Corte costituzionale dopo la decisione dello Stato di vendere ex carceri e fari. Gli articoli 32, 33 e 34 della Carta siciliana (costituzionale) manifestano l’illegittimità dell’azione governativa

PALERMO – Lo scontro è ormai sancito. La scorsa settimana la Regione siciliana ha proposto ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione contro le procedure di vendita di beni del demanio militare situati in Sicilia.
La questione è di primaria importanza perché non si tratta solo di un conflitto materiale, ma anche del rispetto di una reale prerogativa sancita nello Statuto della Regione siciliana, dove all’articolo 32 si precisa come tutti i beni demaniali esistenti nell’Isola debbano essere assegnati alla Regione, ad eccezione di quelli che interessano la difesa dello Stato.
Potrebbe trattarsi di uno scippo senza precedenti per i beni demaniali militari che secondo la Regione sono stati erroneamente inseriti nel decreto del settembre 2010, dove sono elencati quelli che il ministero intende alienare ai privati.
Si tratta di caserme, fari, carceri tra cui vanno segnalati i Fari di Capo Milazzo, di Capo Molini ad Acireale, di Punta Libeccio a Favignana, di Punta Spadillo a Pantelleria e di Capo Faro nell’isola di Salina e l’ex carcere militare di Palermo, cioè opere di grande interesse storico artistico che già da tempo avevano iniziato un percorso differente, infatti proprio i medesimi immobili erano già inseriti fra quelli che la Commissione paritetica Stato-Regione aveva favorevolmente esitato per essere trasferiti alla Regione.
Già nel dicembre scorso Gaetano Armao, assessore per l’Economia della Regione, aveva contestato la legittimità della procedura avviata alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero della Difesa.
La base della confutazione del titolare dell’economia della Regione si era basata su alcune prerogative statutarie che prevedono la priorità dell’assegnazione dei beni demaniali dallo Stato alla Regione.
Il riferimento corre in particolare all’articolo 32 dello Statuto Siciliano dove si specifica come “i beni di demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche esistenti nella Regione, sono assegnati alla Regione, eccetto quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale”.
Un concetto ampliato e ribadito nell’articolo seguente, il numero 33, dove si precisa come “sono altresì assegnati alla Regione e costituiscono il suo patrimonio, i beni dello Stato oggi esistenti nel territorio della Regione e che non sono della specie di quelli indicati nell’articolo precedente”.
L’impianto teorico dello Statuto prosegue ulteriormente anche nell’articolo 34 dove si aggiunge come “i beni immobili, che si trovano nella Regione e che non sono in proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione”.
In tal modo, la Regione verrebbe privata della possibilità di gestire un importantissimo patrimonio dando al contempo campo libero allo Stato di utilizzare tali beni per una successiva vendita o per avviare una serie di protocolli d’intesa per l’affido in gestione agli enti locali, escludendo Palermo da qualsivoglia dinamica decisionale. La battaglia di Armao aveva passato un’altra tappa importante nel gennaio scorso quando aveva ribadito le ragioni della Sicilia in una lettera scritta al ministro della difesa, Ignazio La Russa.
Nella lettera veniva appunto sottolineata l’illegittimità dell’azione governativa e il pesante danno che ne avrebbe patito la Sicilia.

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