Ladri di bancomat come hacker. Il reato è di frode informatica - QdS

Ladri di bancomat come hacker. Il reato è di frode informatica

Maria Chiara Ragusa

Ladri di bancomat come hacker. Il reato è di frode informatica

mercoledì 18 Maggio 2011

Sentenza della Cassazione punisce in maniera severa il ladro di “codici”

CATANIA – Per chi clona il bancomat il reato è quello di frode informatica a tutti gli effetti. La corte di Cassazione con sentenza n. 17784 del 6 Maggio 2011 ha espresso questo principio, dopo essersi trovata di fronte a un caso in cui due soggetti avevano clonato alcuni bancomat per poi procedere a diversi acquisti.
Singolare la tesi sostenuta dalla difesa degli imputati, secondo la quale non ci poteva essere equiparazione fra chi clona un bancomat e un hacker, perché il clonatore, facendo acquisti utilizzando il denaro altrui, rimane ai margini del sistema bancario e non si introduce in profondità in esso, come invece farebbe un hacker.
I giudici di legittimità ovviamente non sono rimasti assolutamente convinti della tesi ed hanno fornito una risposta di senso assolutamente contrario, applicando la pena massima prevista per le frodi informatiche, invertendo quindi il concetto difensivo.
Nella specie, infatti, attraverso l’utilizzo di carte falsificate e grazie all’intercettazione dei codici segreti di accesso (i cosiddetti pin) gli imputati sono penetrati abusivamente all’interno dei vari sistemi bancari, alterando i dati contabili mediante ordini abusi di operazioni bancarie di trasferimento fondi. Oltre a ciò gli imputati si erano resi protagonisti di prelievo di contanti presso i servizi di cassa continua.
I giudici hanno chiarito che si debba applicare la più severa sanzione prevista per le frodi informatiche. Si tratta, infatti, di una condotta per molti versi simile a quella di chi entrato senza diritto in possesso delle cifre chiave e delle password di altre persone utilizzi contrariamente alle norme tali elementi per accedere ai sistemi informatici bancari per operare sui relativi dati contabili e disporre bonifici, accrediti o altri ordini, procurandosi così un ingiusto profitto.
La sentenza puntualizza, inoltre, che il concetto di alterazione di un sistema informatico o telematico va interpretato in modo assolutamente generico e quindi: “bisogna intendere ogni intervento modificativo o manipolativo sul funzionamento del sistema che viene distratto dai suoi schemi predefiniti in vista del raggiungimento dell’obiettivo – punito dalla norma – di conseguire per sè o per altri un ingiusto profitto con altrui danno”.
Una chiara equiparazione di questo comportamento a quello di chi sia entrato in possesso senza diritto dell’utenza e dei codici di altre persone e dispone così bonifici ed altre operazioni bancarie.
La Suprema Corte dà quindi un definitivo chiarimento interpretando il reato di frode informatica nel modo più esteso e generico, punendo così chiunque tramite sistemi informatici compie atti delittuosi di fronte alla stessa pena, qualunque sia il mezzo usato.
Una tutela in più per il consumatore.

Maria Chiara Ragusa
collegio dei professionisti di Veroconsumo

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