Racket ancora forte, imprese in ginocchio - QdS

Racket ancora forte, imprese in ginocchio

Michele Giuliano

Racket ancora forte, imprese in ginocchio

giovedì 22 Settembre 2011

Solo piccoli passi compiuti negli ultimi anni: al lumicino le denunce e il giro d’affari ammonta a oltre 2,5 milioni di euro. In Sicilia, secondo le stime di Sos impresa, i commercianti coinvolti dal fenomeno sono 25.000

PALERMO – Una miriade di iniziative antimafia ma la paura di denunciare resta sempre. Commercianti ed imprenditori siciliani in realtà non sono mai riusciti a risvegliarsi veramente dall’incubo del racket e della mafia. Nonostante le istituzioni abbiano più volte lanciato segnali e appelli, la situazione è appena appena migliorata. L’ultima porta la firma del Comune di Agrigento che ha apposto il logo “No al pizzo” sulle vetrine dei negozi. Una vera e propria mobilitazione che ha voluto coinvolgere tutti i commercianti della città. Il comune di Agrigento, da quasi due anni, ha adottato nella carta intestata la scritta “No al pizzo!”. Un messaggio forte che adesso, secondo l’invito lanciato dal sindaco Marco Zambuto, dovrebbe essere condiviso anche dai commercianti.
“E’ giunta l’ora che anche i commercianti prendano pubblicamente posizione contro il racket”, ha spiegato Zambuto. Anche le stesse organizzazioni di categoria e le associazioni antimafia stanno pensando seriamente di rilanciare nuove campagne contro Cosa nostra per spingere gli operatori economici a ribellarsi: “Rinnovare il messaggio del movimento antiracket e andare oltre la ritualità e i luoghi comuni. Questi gli obiettivi che la lotta al pizzo deve attualmente perseguire” hanno sostenuto Lino Busà, presidente di Sos Impresa, l’associazione Confesercenti nata per difendere la libera iniziativa imprenditoriale, per opporsi al racket e resistere alla criminalità organizzata.
“L’antimafia delle convenienze e delle opportunità – prosegue il presidente di Sos Impresa – è il nuovo orizzonte su cui vogliamo impegnarci. Dobbiamo rendere conveniente la denuncia e sfavorire chi continua a pagare il pizzo. Premiare chi denuncia e andare oltre il risarcimento, offrendo opportunità concrete di lavoro a quelli imprenditori che si ribellano”. Quindi un chiaro messaggio anche alle istituzioni competenti affinchè rivedano in qualche modo il sistema di premialità e di sostegno a quegli imprenditori che trovano il coraggio di dire no al racket delle estorsioni. “La denuncia del racket – conclude Busà – deve essere un’occasione per nuove opportunità e convenienze, incidendo concretamente nei legami tra impresa, economia, politica e mafia. Le istituzioni, quindi, devono garantire a chi denuncia, la sicurezza personale, la possibilità di proseguire il proprio lavoro e la rapidità dei risarcimenti del fondo di solidarietà”.
In Sicilia, secondo le stime di Sos Impresa, i commercianti coinvolti dal fenomeno del racket sono 25.000, il 29,20 per cento sul totale, per un giro d’affari di 2,5 milioni di euro. A questo dato, però, si aggiunge quello relativo alle operazioni antiusura che in Sicilia ha visto nel 2009 effettuarsi  34 operazioni, 185 arresti e 24 indagati. Non ci sono dati aggiornati sulle denunce, ma nel distretto di Palermo (che comprende anche le province di Trapani ed Agrigento) nel 2010 i casi denunciati sono stati 132 contro i 54 dell’anno precedente. Quindi un chiaro segnale dello Stato. Adesso però tocca anche ai commercianti.
 

 
L’approfondimento. Il mancato sviluppo favorisce Cosa nostra
 
Il sindaco di Agrigento Zambuto ha fatto un’analisi molto approfondita del problema della criminalità organizzata arrivando a sostenere una tesi abbastanza interessante riferendosi principalmente alla sua città: “A causa del gap di sviluppo ad Agrigento si è sempre pensato a come sopravvivere e per farlo si è fatto abuso di accondiscendenza ed illegalità. E’ tempo di finirla. E’ tempo di schierarsi tutti in favore della legalità vera e non di facciata. Non so quanti commercianti, in questa città, paghino effettivamente il pizzo per poter lavorare serenamente. Non ho dati in mano – ha continuato il primo cittadino – ma sono certo che come in ogni realtà metropolitana, anche qui ci sono delle sacche di commercianti che pagano e non denunciano”. L’appello ad apporre sulle vetrine dei negozi la scritta “No al pizzo!” è strettamente collegato all’invito a denunciare gli estorsori. “Soltanto tirando fuori la testa dalla sabbia – ha concluso Zambuto – potremo costruire un domani migliore per i nostri figli”. “Nonostante i tanti successi delle forze dell’ordine – spiega Vincenzo Oliveri, presidente della Corte d’Appello di Palermo – le statistiche nono sono affatto proporzionate all’effettiva ampiezza sociale del pizzo”.

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